Copertina Il mistero della “piramide” sepolta di Arienzo

Il mistero della “piramide” sepolta di Arienzo

Pubblicata il 19/06/2025

La leggenda di Monte Castello e la piramide nascosta

Ad Arienzo, piccolo borgo campano incastonato tra le colline del Monte Castello, serpeggia da tempo una teoria affascinante: sotto quella che sembra una semplice collina si nasconderebbero i resti di un’antica piramide pre-romana, una sorta di “collina sepolta” di origine artificiale. La voce popolare parla di un rilievo dalla forma geometricamente regolare, troppo perfetto per essere frutto del caso, che avrebbe custodito nei secoli un segreto millenario. Secondo la leggenda moderna, Monte Castello non sarebbe solo la sede di un castello medievale in rovina, ma la copertura di una struttura costruita da una civiltà italica antica, forse antecedente ai Romani. Alcuni abitanti hanno raccontato di come, osservando la collina al tramonto, si possano intuire linee rette e terrazzamenti coperti dalla vegetazione, quasi i gradoni consumati di un monumento dimenticato. Si sussurra persino di gallerie e anfratti nascosti nel ventre della montagna, facendo sognare scopritori improvvisati e studiosi indipendenti. Quest’aura di mistero che aleggia su Monte Castello richiama quella delle più celebri piramidi egizie: non a caso, la teoria della piramide di Arienzo nasce sulla scia di altre scoperte e ipotesi di “piramidi nascoste” in Italia, alimentando la fantasia popolare e accendendo il dibattito tra appassionati e scettici.

Monte Castello: tra storia antica e mito locale

Per comprendere le origini di questa teoria, occorre inquadrare Monte Castello nel contesto storico di Arienzo. Il toponimo stesso suggerisce la presenza di un castello: in effetti, in cima al monte sorgono i ruderi del Castello di Arienzo, noto anche anticamente come “Castel Vetus” (Castello Vecchio). Le fonti storiche attestano che la fortificazione originaria risale addirittura al VII secolo d.C., edificata dai Longobardi in posizione strategica a guardia della valle del fiume Iscleromarianodeangelis.com. Dalla sommità di Monte Castello, infatti, si domina tutto il tratto della Via Appia che collega la piana di Caserta con la valle Caudina; non a caso, Livio narrava che proprio in questa stretta valle i Sanniti umiliarono le legioni romane alle Forche Caudine (321 a.C.), e alcuni ipotizzano che sulla cima del monte sorgesse un praesidium sannitico, poi riutilizzato in epoca medievaleit.wikipedia.org. La rocca longobarda di Arienzo fu un importante avamposto del Ducato (poi Principato) di Benevento: nel 881, dopo che i Saraceni distrussero l’antica città romana di Suessula nella pianura, molti superstiti trovarono rifugio proprio sul Monte Argentario (antico nome di Monte Castello), all’ombra delle sue muramarianodeangelis.com. Il castello fu più volte conteso e nel 1135 Ruggero II d’Altavilla ne ordinò l’abbattimento, temendo che i suoi nemici potessero usarlo per controllare dall’alto il territorio; la distruzione fu solo parziale e la fortezza venne ricostruita pochi anni dopo dal figlio Guglielmomarianodeangelis.com. Con l’epoca normanna e angioina il potere si spostò a valle: il borgo di Arienzo divenne la “Terra Murata” (ossia la nuova cittadella fortificata), mentre Castel Vetus fu progressivamente abbandonato.

Nonostante il declino, Monte Castello rimase avvolto da un’aura leggendaria. La tradizione locale vuole che sulle sue pendici vi fosse in tempi antichi un luogo sacro: secondo la Soprintendenza ai Beni Archeologici, il castello medievale “fu probabilmente edificato sui resti di un tempio dedicato a Diana”, la dea italica della caccia e dei boschiinstagram.com. Se ciò fosse vero, il monte avrebbe avuto un ruolo cultuale già prima del Medioevo, forse in età romana o preromana, alimentando l’idea che potesse celare segreti arcaici. Inoltre, il castello è legato a una struggente leggenda medievale: la storia di Giovannella Stendardo, nobildonna che qui visse un amore sfortunato. Sposa giovanissima al cavaliere Matteo de Boffa, Giovannella morì poco dopo le nozze, e si narra che il suo spirito ancora si aggiri affranto tra le rovine. Ogni anno Arienzo rievoca in costume questo matrimonio d’altri tempi, a metà tra storia e mitoappiapolis.it. La presenza di una dama fantasma e di un tempio pagano perduto arricchisce Monte Castello di un fascino misterioso: cosa nasconde davvero questo monte dalla forma così insolita? È in questo contesto, carico di storia e folklore, che è maturata la teoria della collina-piramide.

Ipotesi e ricerche: dalla scoperta di Ariella agli studi su Arienzo

L’idea che in Campania potessero esistere piramidi sepolte prese piede alla fine degli anni 2000, parallelamente al clamore suscitato dalle presunte “piramidi bosniache” di Visoko. Proprio come a Visoko – dove rilievi naturali coperti di vegetazione vennero interpretati da alcuni ricercatori come antiche piramidi costruite dall’uomo – anche tra le colline sannite di Caserta e Benevento si iniziò a guardare con occhi nuovi il paesaggio. Tutto ebbe inizio nel 2008, quando la rivista Focus pubblicò un breve articolo intitolato “Piramidi a Benevento?”. Un cittadino di Sant’Agata de’ Goti, Leonardo Benedetto Romano, che da vent’anni osservava dalla sua finestra una collina chiamata Ariella, notò delle caratteristiche anomale: la collina aveva un profilo stranamente piramidale che “stonava” rispetto alle dolci alture tondeggianti circostantisalvatoredetoma.altervista.org. Romano scattò foto e analizzò immagini satellitari, riscontrando una straordinaria somiglianza con le piramidi bosniache, anche per la presenza di enigmatiche sfere di pietra rinvenute ai piedi del rilievosalvatoredetoma.altervista.org. Incoraggiato dall’articolo di Focus, inviò una segnalazione online a un Centro Ricerche locale nel marzo 2009, dando di fatto il via alla “caccia alle piramidi” in Terra di Lavoro.

La collina Ariella di Sant’Agata de’ Goti divenne così la prima “piramide” campana identificata in tempi moderni. Ufficialmente, fu annunciata nel 2008 come Piramide di Sant’Agata, grazie all’intuizione di Romano, definito “ricercatore indipendente”vesuviolive.it. Subito la notizia fece scalpore sui media locali: si parlava di una “seconda Visoko” e la collina Ariella fu ribattezzata la piramide del Sannio. Sull’onda di questa scoperta, altri due rilievi dalla forma vagamente triangolare vennero individuati negli anni seguenti: uno nei pressi di Caiazzo (nel Casertano) e un altro a Moiano (nel Beneventano)vesuviolive.it. La cosiddetta piramide di Caiazzo appare ancor più evidente, emergendo isolata nel mezzo di una piana: circostanza che la rende visivamente simile a una costruzione artificiale rispetto alla piramide di Moiano, che è addossata ad altri rilievivesuviolive.it. Interessanti rinvenimenti archeologici sembrarono dare consistenza all’ipotesi: attorno alla base della collina di Caiazzo furono trovati resti di mura megalitiche attribuite forse all’antico popolo italico degli Oscivesuviolive.it. Questi muri ciclopici, risalenti a insediamenti preromani, suggeriscono che l’area fosse abitata in tempi remoti, alimentando la speculazione che la collina potesse essere stata modellata dall’uomo come piattaforma o struttura sacra.

Gli studi iniziali su queste piramidi italiche, condotti in modo autonomo da appassionati e da qualche esperto fuori dagli schemi, si sono concentrati su rilievi topografici, fotografie aeree e analisi astronomiche. Secondo tali ricerche, le colline piramidali del Sannio presenterebbero proporzioni e orientamenti non casuali. In particolare, tre di esse – Sant’Agata de’ Goti, Moiano e un quarto rilievo individuato successivamente a Montesarchio – risulterebbero allineate esattamente come le tre stelle della cintura di Orione, ricalcando in scala ridotta lo schema delle piramidi di Giza in Egittovesuviolive.it. La quarta piramide, scoperta nel comune di Montesarchio (presso il Monte Taburno), avrebbe completato questo allineamento astronomico: tracciando su una mappa una linea tra Sant’Agata, Moiano e Montesarchio si ottiene infatti un allineamento sovrapponibile a quello di Alnitak, Alnilam e Mintaka, le tre stelle di Orionevesuviolive.it. È interessante notare che la piramide di Caiazzo, più distante, non rientrerebbe in questa terna ma, secondo alcuni, si allineerebbe con la stella Sirio, anch’essa parte fondamentale del cielo religioso degli antichi (Sirio, nelle piramidi egizie, era associata alla dea Iside)cicap.org. Queste coincidenze hanno lasciato molti a bocca aperta: davvero popolazioni preistoriche potrebbero aver modellato colline intere in funzione di osservatori astronomici?

A supportare la tesi della costruzione artificiale ci sono altri elementi curiosi. Oltre alle mura megalitiche oscane di Caiazzo, sono emerse – come anticipato – strane palle di pietra nei campi attorno alla piramide di Sant’Agata. Si tratta di sfere levigate di varie dimensioni, incredibilmente simili a quelle rinvenute sia in Bosnia, nella Valle delle Piramidi di Visoko, sia presso il celebre sito di Monte d’Accoddi in Sardegnavesuviolive.it. Monte d’Accoddi è un caso unico di piramide a gradoni preistorica scoperta sul suolo italiano, una struttura megalitica risalente al Neolitico (circa 4000 a.C.) considerata una sorta di altare sopraelevato ritualevesuviolive.itairvuz.com. Ebbene, anche a Monte d’Accoddi furono trovate sfere lapidee, interpretate come possibili rulli utilizzati per trasportare i blocchi e costruire la piattaforma. Il ritrovamento di oggetti analoghi ai piedi delle “colline piramidali” campane ha fatto pensare che pure queste ultime potessero essere state erette con tecniche simili: in altre parole, che ci si trovasse davvero di fronte a strutture costruite dall’uomo migliaia di anni favesuviolive.it.

In questo clima di eccitazione, Arienzo e il suo Monte Castello sono entrati naturalmente nel radar degli appassionati. Il nostro monte presenta infatti una pianta quadrangolare e un profilo a tronco di cono che – almeno in parte – ricordano quelli delle piramidi identificate nei dintorni. La presenza documentata di un antico tempio di Diana in cima suggerisce che il luogo fosse sacro, un indizio compatibile con l’idea di una piramide che nell’antichità fungesse da luogo di culto astronomico. Finora, tuttavia, non risultano scavi archeologici sistematici condotti specificamente per cercare una piramide ad Arienzo. Gli studi sul terreno di Monte Castello si sono limitati al rilevamento dei ruderi medievali e a indagini geologiche generali. Nonostante ciò, alcuni ricercatori indipendenti hanno effettuato sopralluoghi e analisi informali: fotografie dall’alto tramite drone mostrerebbero terrazzamenti rettilinei sotto la coltre boschiva, e misurazioni topografiche hanno evidenziato che i pendii di Monte Castello hanno un’inclinazione quasi costante, similmente a quelli delle piramidi naturali di Montevecchia in Lombardia (circa 42°). Dati come questi, seppur preliminari, vengono citati dai sostenitori della teoria per affermare che “qualcuno, in un passato remoto, abbia sagomato la collina”. C’è chi ipotizza che la “piramide” di Arienzo possa essere una struttura a gradoni interna poi ricoperta di terra, forse utilizzata in epoca protostorica come osservatorio delle stelle o come altare templare.

Tra scienza e mito: geologia, archeologia e interpretazioni alternative

La comunità scientifica ufficiale osserva con molto scetticismo queste teorie sulle piramidi italiche. Geologi e archeologi professionisti ricordano che l’Italia meridionale presenta una geomorfologia complessa, soggetta a fenomeni erosivi particolari. Secondo diversi geologi, quelle che a prima vista sembrano piramidi perfette sarebbero in realtà formazioni naturali: l’erosione selettiva e i movimenti tettonici lungo faglie rettilinee possono produrre colline dalla forma piramidale senza alcun intervento umanovesuviolive.it. Ad esempio, la piramide di Moiano e quella di Sant’Agata sorgono ai margini del massiccio carbonatico del Taburno e del Partenio, dove fratture geologiche hanno creato spigoli vivi e ripidi pendii. La disposizione quasi simmetrica potrebbe derivare dall’azione millenaria di acqua e vento sulle diverse resistenze delle rocce, mentre i terrazzamenti potrebbero essere antichi appezzamenti agricoli o fasce anti-erosione realizzate in epoche più recenti. Dal canto loro, gli archeologi ortodossi sottolineano che, pur essendo l’area abitata da varie popolazioni (Osci, Sanniti, Romani, Longobardi), nessuna di queste – per quanto ne sappiamo – costruì mai piramidi o strutture simili in Italiavesuviolive.it. Né le fonti storiche né le evidenze di scavo (laddove effettuati) hanno finora indicato l’esistenza di edifici piramidali peninsulari di epoca pre-romana. Le rovine trovate a Caiazzo, per esempio, pur impressionanti, sono compatibili con mura di terrazzamento di un villaggio fortificato osco, ma nulla provano riguardo alla natura artificiale dell’intera collina.

Nonostante le forti obiezioni scientifiche, le narrazioni alternative hanno trovato eco in libri, conferenze e programmi televisivi, alimentando un filone documentaristico a metà tra divulgazione storica e mystery. Nel 2019 la popolare trasmissione “Freedom – Oltre il confine” condotta da Roberto Giacobbo (Italia 1) ha dedicato un servizio sensazionalistico a queste scoperte, parlando di “civiltà delle piramidi in Campania”. Giacobbo, accompagnato da alcuni dei ricercatori indipendenti, ha mostrato le quattro presunte piramidi sannite – Sant’Agata, Moiano, Montesarchio e Caiazzo – definendole una scoperta sconvolgente, e suggerendo collegamenti astronomici ed energetici fuori dal comunecicap.org. L’attenzione mediatica ha fatto sì che molti iniziassero a guardare con occhi diversi colline fino ad allora anonime: anche Arienzo, pur non citata esplicitamente, è entrata nell’immaginario collettivo come possibile sede di un segreto millenario.

Va detto che accanto a posizioni estreme (tra chi crede ciecamente all’ipotesi della piramide e chi la deride come fantarcheologia), esiste anche un approccio intermedio più cauto. Alcuni studiosi suggeriscono di non liquidare del tutto la questione: se anche la forma piramidale di queste colline fosse frutto di conformazioni naturali, resta comunque il fatto che popoli antichi potrebbero averle notate e sfruttate. In altre parole, la verità potrebbe stare nel mezzo: colline naturali adattate dall’uomo. Forse i nostri antenati italici non costruirono piramidi trasportando milioni di blocchi di pietra, ma potrebbero aver scelto colline dalla forma particolare per erigervi santuari, rifugi o punti d’osservazione del cielo, modificandole in parte (livellando la sommità, creando gradoni o rampe). Del resto, il culto delle alture e l’orientamento astronomico erano pratiche diffuse in molte culture antiche. Gli appassionati di archeo-astronomia ricordano che a circa 30 km da Arienzo c’è Alatri, famosa per la sua acropoli megalitica orientata ai punti cardinali e legata – secondo alcuni – a rappresentazioni astrali, e che in tutta l’Italia centro-meridionale esistono mura poligonali e terrazzamenti misteriosi la cui datazione e funzione talvolta sfuggono alle spiegazioni tradizionali.

Confronti con altri misteri: dalle piramidi di Montevecchia ai segreti della Val Camonica

La “piramide” di Arienzo, se davvero esiste, sarebbe parte di un fenomeno più vasto che abbraccia diversi luoghi d’Italia. Negli ultimi decenni sono emerse ipotesi analoghe di piramidi nascoste sia al nord che al sud della penisola. Il caso più famoso è senza dubbio quello delle Piramidi di Montevecchia, in Brianza (Lombardia): tre colline dalla forma piramidale scoperta nel 2001 dall’architetto Vincenzo Di Gregoriodeanotizie.it. Esse sono alte circa 150 metri e presentano tutte la medesima inclinazione sui versanti, al punto che Di Gregorio e colleghi tracciarono un parallelo ardito con la piana di Giza. Le distanze tra le colline lombarde risultano proporzionate a quelle tra le piramidi egizie, e anche in questo caso si parlò di allineamento con la Cintura di Orionedeanotizie.itdeanotizie.it. Le tre alture (chiamate localmente Montevecchia 1, 2 e 3) appaiono disposte come Alnitak, Alnilam e Mintaka; inoltre, sulla sommità di una di esse (il Colle del Cereda) fu individuato un terrazzamento pianeggiante con un grande masso in pietra calcarea interpretato come “altare celtico”deanotizie.it. Reperti ritrovati nei dintorni suggeriscono la presenza, in epoca protostorica, di comunità celtiche e pre-celtiche in Brianza: da qui l’ipotesi che quei colli fossero luoghi di culto druidico o osservatori lunari e solari. Gli studiosi indipendenti, dopo rilievi sul campo, si sono detti certi che la modellazione delle colline di Montevecchia abbia un’origine “artificiale”, cioè ottenuta rimodellando rilievi naturalideanotizie.it. Lo stesso termine “piramidi” di Montevecchia ormai è entrato nell’uso, anche se ufficialmente restano colline; persino importanti testate ne hanno parlato, aumentando l’alone di mistero attorno a queste formazioni. Ad oggi, tuttavia, nessuno scavo archeologico completo è stato effettuato a Montevecchia: la zona è in parte privata e boscosa, il che rende difficoltose le ricerche, e le autorità mantengono un approccio prudente. Gli appassionati però non demordono: continuano a raccogliere indizi, convinti che col tempo emergeranno prove concrete. Come ha scritto un giornale locale, “lo studio delle tre piramidi di Montevecchia è tuttavia allo stato iniziale e attira la curiosità e l’interesse di ricercatori ed appassionati di archeologia di tutto il mondo”deanotizie.it.

Un altro territorio che spesso viene evocato in queste discussioni è la Val Camonica, in Lombardia. Qui non si parla di colline piramidali artificiali, bensì di montagne sacre e fenomeni naturali che potrebbero aver ispirato antichi riti. La Val Camonica è celebre per le sue incisioni rupestri preistoriche (oltre 200.000 figure incise dalla civiltà dei Camuni), e molti dei petroglifi raffigurano simboli solari, figure antropomorfe e forse elementi astronomici. Ebbene, proprio in Alta Val Camonica due montagne – la Concarena e il Pizzo Badile Camuno – danno vita a incredibili giochi di luce durante gli equinozi. Al tramonto dell’equinozio di primavera, ad esempio, il sole scende dietro la Concarena proiettando sulla montagna di fronte un fascio di raggi che assume la forma di un’enorme triangolo di luce, simile a una piramide luminosa, per alcuni minuti. Questo fenomeno ottico meravigliava già gli antichi Camuni, che probabilmente proprio per questo riempirono di graffiti i versanti di quelle montagne ritenendole sacrebresciaoggi.it. Non a caso, ai piedi della Concarena si trova uno dei più grandi santuari di arte rupestre (località Naquane presso Capo di Ponte). In questo caso la “piramide” non è costruita dall’uomo, ma è la natura stessa a crearla con luce e ombra – un evento che gli antichi interpretavano in chiave mistica. Ciò ci ricorda che spesso montagne e rocce dalla forma particolare venivano venerate come luoghi di contatto col divino, senza bisogno di interventi artificiali. Oltre a ciò, la Val Camonica ospita le Piramidi di Zone, spettacolari colonne di erosione morenica sormontate da massi (simili a grandi “funghi” di pietra alti fino a 30 metri). Sebbene siano un puro fenomeno geologico, il loro aspetto insolito ha alimentato leggende locali – come capita per ogni forma naturale che stimoli la fantasia umana.

Tra mito e realtà, in attesa di risposte

La storia della presunta piramide di Arienzo resta dunque sospesa tra mito e realtà, tra voglia di straordinario e rigore scientifico. Da un lato c’è una narrazione suggestiva: un monte che cela un’antica struttura costruita da mani ignote, forse parte di una civiltà dimenticata che in tempi remoti elevò templi piramidali anche nella nostra penisola. Dall’altro lato ci sono i fatti storici accertati: Monte Castello fu sicuramente sede di un castello longobardo e poi normanno, probabilmente scelto per la sua conformazione naturalmente difendibile e dominante, e qualsiasi “mistero” va conciliato con questa realtà documentata. Finora, le prove tangibili di una piramide italica ad Arienzo sono assenti: non ci sono scavi ufficiali né rinvenimenti di strutture interne che avvalorino l’idea di un colosso edificato sotto la collina. Gli studiosi accademici propendono per spiegazioni scientifiche, mentre i sostenitori del mistero attendono il giorno in cui qualche indagine più approfondita – magari tramite georadar o campagne di scavo mirate – possa far emergere elementi nuovi.

Nel frattempo, però, la leggenda vive e affascina. Arienzo, con il suo Castel Vetus arroccato e le sue storie di nobildonne, dèi antichi e forse piramidi sepolte, è diventata meta di curiosi e ricercatori dilettanti. Sul web circolano articoli e video che mescolano dati storici e speculazioni, contribuendo a tenere alta l’attenzione. Del resto, come sottolineava Vesuvio Live, “quell’aura di mistero che avvolge la storia delle piramidi egizie la ritroviamo ad offuscare la verità in merito alla reale natura di alcune piramidi rinvenute tra le province di Caserta e Benevento”vesuviolive.it. È proprio questa aura di ignoto che spinge a porsi domande e a guardare con occhi diversi le nostre colline. Forse la vera scoperta sta nell’imparare a osservare il territorio con “occhi nuovi” – come suggeriva Marcel Proust – riscoprendo le ricchezze che abbiamo davanti ogni giorno senza notarle. Che sia frutto di un’antica civiltà o di madre natura, Monte Castello ad Arienzo continuerà a vegliare sulla valle, custodendo i suoi segreti. E chissà che un giorno la scienza, con rigorosa pazienza, non riesca a dare una risposta definitiva al mistero della collina sepolta. Fino ad allora, la piramide di Arienzo rimarrà un affascinante racconto sospeso tra le pagine della storia e le ali della leggenda.

Fonti: documenti storici e ricerche archeologiche localimarianodeangelis.comit.wikipedia.orginstagram.com; articoli divulgativi sulle piramidi in Campaniavesuviolive.itvesuviolive.itvesuviolive.it; resoconti di studi e conferenze indipendenti (Focus, 2008; trasmissione Freedom, 2019)salvatoredetoma.altervista.orgcicap.org; confronti con altri siti misteriosi in Italia (Montevecchia, Val Camonica)deanotizie.itbresciaoggi.it.

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