Copertina Ugo Foscolo: poeta e soldato rivoluzionario

Ugo Foscolo: poeta e soldato rivoluzionario

Pubblicata il 14/06/2025

Introduzione: un’epoca di rivoluzioni e cambiamenti storici

L’esistenza di Ugo Foscolo (1778-1827) si svolge nel mezzo di uno dei periodi più tumultuosi della storia europea, a cavallo tra XVIII e XIX secolo. È l’epoca delle rivoluzioni: la Rivoluzione Francese del 1789 e le guerre napoleoniche cambiano profondamente il volto dell’Europa, diffondendo gli ideali di libertà, uguaglianza e nazionalismo. L’Italia, al tempo, non è uno Stato unitario ma un mosaico di regni e repubbliche sotto l’influenza di potenze straniere (Asburgo, Borboni, Stato Pontificio, oltre alla neonata influenza francese). In questo contesto di speranze patriottiche e conflitti, emergono figure di intellettuali-soldati che sposano la causa rivoluzionaria: Ugo Foscolo è uno dei più rappresentativi. Egli vive la giovinezza durante il tramonto dell’Ancien Régime, assiste alla caduta della Repubblica di Venezia (di cui era suddito) e abbraccia inizialmente gli ideali illuministi e libertari portati dalla Francia rivoluzionaria. Foscolo sarà dunque sia poeta sia soldato rivoluzionario, partecipando alle vicende belliche dell’epoca e dando voce, nei suoi scritti, alle speranze e alle delusioni di una generazione. In questo articolo ripercorriamo la sua vita, il contesto storico in cui operò, il suo pensiero politico e filosofico, e le sue opere principali – da Le ultime lettere di Jacopo Ortis al carme Dei Sepolcri, fino ai celebri sonetti – evidenziando il ruolo di Foscolo come patriota e l’eredità culturale che la sua figura ha lasciato all’Italia.

Biografia di Ugo Foscolo: dagli esordi alla morte in esilio

Nascita e formazione: Niccolò Ugo Foscolo nasce il 6 febbraio 1778 sull’isola di Zante (Zacinto, oggi Zacinto in greco), nell’arcipelago ionio allora possedimento della Repubblica di Veneziait.wikipedia.org. Il padre Andrea, medico veneziano imbarcato nella marina, e la madre Diamantina Spathis, di origine greca, gli trasmettono un patrimonio culturale italo-greco. Cresciuto tra Zante e la Dalmazia, Ugo impara da bambino l’italiano (lingua della Venezia settecentesca) e conosce la cultura classica greca e latina. Rimasto orfano di padre a soli 10 anni, si trasferisce con la famiglia a Venezia nel 1792it.wikipedia.orgit.wikipedia.org. Nella Venezia di fine Settecento Foscolo riceve un’educazione letteraria e stringe contatti con i circoli intellettuali locali, rivelandosi presto un giovane di talento poetico e di carattere appassionato. Fin dagli anni giovanili manifesta un’indole irrequieta e sensibile alle ingiustizie: un aneddoto racconta che ancora adolescente riuscì a impedire un assalto del popolo contro il ghetto ebraico di Zante, affrontando la folla e gridando “Vigliacchi, indietro!”it.wikipedia.org – episodio che prefigura il suo coraggio e il senso di giustizia.

Le prime esperienze letterarie: A Venezia Foscolo debutta come poeta e drammaturgo. Nel 1797, appena diciannovenne, vede rappresentata una sua tragedia, Tieste, che riscuote un discreto successo. Frequenta intellettuali come Ippolito Pindemonte e conosce il celebre poeta Giuseppe Parini. In questo periodo di fermento Foscolo respira le idee nuove portate dalla Rivoluzione Francese e dalle armate di Napoleone Bonaparte, le quali nel 1796 calano in Italia instaurando repubbliche giacobine. Quando Venezia, dopo secoli di indipendenza, viene travolta dagli eventi, il giovane Foscolo è inizialmente favorevole al cambiamento rivoluzionario. Egli aderisce ai circoli democratici veneziani e ottiene un incarico come segretario della Municipalità provvisoria filofranceseit.wikipedia.orgit.wikipedia.org. Tuttavia, l’euforia patriottica dura poco: nell’ottobre 1797 Napoleone, con il Trattato di Campoformio, cede la Repubblica di Venezia all’Impero austriaco, barattando così la libertà veneziana a tavolino. La notizia è un trauma per Foscolo e per tutti i patrioti italiani: Ugo, indignato, si dimette immediatamente dai suoi incarichi pubblici e lascia Venezia, scegliendo l’esilio volontarioit.wikipedia.org. Nella sua ultima apparizione in assemblea a Venezia, furente per il “tradimento” di Bonaparte, Foscolo avrebbe persino brandito un pugnale giurando di immergerlo nel cuore di Napoleone, colpevole di aver venduto la patria veneta ai nemiciit.wikipedia.org. Questo gesto teatrale ma significativo mostra la delusione cocente e la rabbia politica di Foscolo, che da entusiasta filofrancese si trasforma in fiero oppositore di Napoleone.

Il soldato rivoluzionario: Allo scoppio della guerra contro gli austriaci, Foscolo decide di partecipare attivamente alla lotta per le idee in cui crede. Trasferitosi a Milano alla fine del 1797, si unisce alle forze della neonata Repubblica Cisalpina (stato filo-francese nell’Italia settentrionale) e si arruola nella Guardia Nazionale repubblicanait.wikipedia.org. Combatte così a fianco delle truppe francesi guidate da Napoleone durante la campagna d’Italia. Nel 1799-1800 Foscolo prende parte a diversi scontri importanti: viene ferito a una gamba nella battaglia di Cento e fatto prigioniero dagli austriaci, per poi essere liberato dal generale MacDonald; partecipa alla cruenta battaglia della Trebbia contro gli austro-russi e alla difesa di Genova assediata dagli eserciti nemiciit.wikipedia.org. Durante l’assedio di Genova (1800) rimane di nuovo ferito nei pressi del forte Diamanteit.wikipedia.org. Pur non amando la guerra in sé, Foscolo serve con coraggio nella convinzione di combattere per la libertà e l’indipendenza della patria italiana. La sua esperienza militare raggiunge l’apice con la vittoria decisiva di Marengo (14 giugno 1800), quando Napoleone sconfigge gli austriaci e riconquista l’Italia del Nordit.wikipedia.org. Dopo Marengo, Foscolo continua a prestare servizio: diventa ufficiale nello Stato Maggiore dell’esercito cisalpino (sarà nominato capitano) e opera in varie città della penisola, tra cui Firenze, Bologna e Milanoit.wikipedia.orgit.wikipedia.org. Tuttavia, la vita militare è difficile e spesso frustrante: Foscolo lamenta ritardi nelle paghe e vive disagi economici, tanto da presentare per un periodo le dimissioni (non accolte) dall’esercito nel 1802it.wikipedia.org. Parallelamente alla carriera militare, non abbandona l’attività intellettuale: durante le pause dai conflitti scrive poesie e saggi patriottici. Nel 1799, ad esempio, redige il “Discorso su la Italia”, in cui incita i francesi e gli italiani giacobini a dichiarare la patria “in pericolo” e a lottare per una repubblica italiana indipendenteit.wikipedia.org. Sempre in quegli anni compone l’ode A Bonaparte liberatore, in cui inizialmente loda Napoleone ma – nella prefazione aggiunta dopo Campoformio – lo ammonisce a non farsi tiranno, auspicando l’unità d’Italia erede dell’antica Romait.wikipedia.org.

Gli anni dell’impero e l’esilio: Con la proclamazione di Napoleone a Imperatore (1804) e la nascita del Regno d’Italia napoleonico (1805), Foscolo prosegue il servizio militare nell’esercito italo-francese e contemporaneamente coltiva la sua carriera letteraria. Dal 1804 al 1806 soggiorna a Parigi e in altre città della Francia, entrando in contatto con l’ambiente culturale francese e forse partecipando alla campagna di Napoleone in terra germanica. Tornato in Italia, nel 1807 pubblica a Milano il suo capolavoro poetico Dei Sepolcri (di cui diremo in dettaglio più avanti). Ottiene anche un incarico accademico: nel 1808 gli viene assegnata la cattedra di Eloquenza all’Università di Pavia, ma l’anno seguente Napoleone sopprime diverse cattedre universitarie e Foscolo perde il posto (la chiusura dell’università fa parte delle politiche accentratrici francesi). Nel 1810 porta in scena al Teatro alla Scala di Milano la tragedia Ajace, rivisitazione in chiave contemporanea del mito di Aiace di Sofocle: l’opera, però, viene censurata e ritirata dopo poche repliche perché ritenuta una velata critica politica all’autorità (il viceré Eugenio di Beauharnais, fedele a Napoleone, ne ordina la sospensione)skuola.net. Deluso e amareggiato, Foscolo si sposta a Firenze, dove inizia a lavorare a un nuovo poema, Le Grazie, dedicato al mito delle tre Grazie e intriso di ideali neoclassici (poema che resterà incompiuto e verrà pubblicato postumo). Intanto, gli eventi storici precipitano: il dominio di Napoleone in Europa crolla con la disastrosa campagna di Russia (1812) e la sconfitta di Lipsia (1813). Nel 1814 le truppe austriache tornano in possesso della Lombardia e di Milano, ponendo fine al Regno d’Italia napoleonico. Per i patrioti italiani è un momento critico: molti devono scegliere se collaborare con i restaurati governi assolutisti o andare in esilio. Foscolo, coerente con i suoi ideali, rifiuta di giurare fedeltà all’Austria e abbandona l’Italia nel 1815skuola.net. Dopo un breve soggiorno in Svizzera, si trasferisce definitivamente in Inghilterra nel 1816 per sfuggire alle repressioni austriache contro i giacobini italiani. In terra inglese, privo di mezzi e lontano dalla patria, Foscolo conosce anni difficili: vive principalmente a Londra, mantenendosi a fatica con collaborazioni letterarie, lezioni private e articoli (scriverà anche in inglese, come i saggi Essays on Petrarch). La nostalgia dell’Italia e i problemi economici ne minano lo spirito e la salute. Foscolo assume lo pseudonimo “Didimo Chierico” in alcuni suoi scritti critici, segno di un certo disincanto e autoironia negli ultimi anni. Minato nel corpo (soffre di idropisia polmonare, complicanza tubercolare) e ormai debole, muore in esilio a Londra il 10 settembre 1827, a soli 49 anniit.wikipedia.orgit.wikipedia.org. Viene sepolto nel cimitero di Chiswick, grazie alla carità di alcuni amici (tra cui un banchiere quacchero che si fa carico delle spese)it.wikipedia.orgit.wikipedia.org. Si narra che nella tomba gli vengano poste due monete di rame sugli occhi, secondo l’antico rito funebre greco, a simboleggiare il pagamento dell’obolo a Caronteit.wikipedia.org – un gesto che richiama le radici classiche e la madrepatria greca di Foscolo. La storia postuma di Foscolo, tuttavia, non finisce con la sua morte in terra straniera: molti anni dopo, quando l’Italia conquista l’unità nazionale, la sua figura viene riscoperta e celebrata come quella di un precursore del Risorgimento. Nel 1871 – ad Italia unita da pochi anni – le ceneri di Ugo Foscolo vengono traslate dall’Inghilterra a Firenze, e tumulate con tutti gli onori nella basilica di Santa Croce, il pantheon delle glorie italianeit.wikipedia.org. È un momento dal forte valore simbolico: proprio Foscolo, nel carme Dei Sepolcri, aveva esaltato le tombe di Santa Croce come custodi della memoria dei grandi uomini d’Italia, e ora il suo desiderio di “posare le ossa su la terra de’ padri” si realizzait.wikisource.orgit.wikipedia.org. Una grande cerimonia del neonato Regno d’Italia e poi, nel 1939, una targa commemorativa durante il regime fascista celebrano il ritorno in patria del poeta esuleit.wikipedia.org. Da eroe dimenticato in un cimitero londinese, Foscolo diviene così ufficialmente un classico della patria italiana, sepolto in quel “tempio” laico di Santa Croce accanto ad altri illustri come Machiavelli, Alfieri e Galileo – “itale glorie” da lui stesso cantateit.wikipedia.org.

Impegno politico e patriottico: dalla rivoluzione alla disillusione

La parabola biografica di Foscolo riflette fedelmente le speranze e le delusioni politiche di un’intera generazione di intellettuali italiani a cavallo tra Sette e Ottocento. In gioventù, Ugo abbraccia con entusiasmo la causa rivoluzionaria portata in Italia dalle armate francesi: vede in Napoleone un liberatore in grado di spazzare via i vecchi regimi feudali e di instaurare anche nella penisola i principi di libertà e uguaglianza proclamati dalla Rivoluzione Francese. Quando a Venezia nel 1797 sventola per la prima volta il tricolore della libertà, il ventenne Foscolo è tra i più ardenti sostenitori della neonata repubblica democratica veneziana. Egli ricopre un ruolo attivo nella Municipalità giacobina e collabora a giornali rivoluzionari: a Milano, tra 1797 e 1798, interviene ad esempio sulle pagine del Monitore Italiano e del Giornale Repubblicano, difendendo l’indipendenza della Repubblica Cisalpina dal controllo eccessivo di Parigi e criticando i compromessi diplomaticiit.wikipedia.orgit.wikipedia.org. Foscolo sogna, in questi anni, la creazione di una nazione italiana libera e unita, magari repubblicana, alleata ma autonoma rispetto alla Francia. Tuttavia, la realtà politica si incarica presto di infrangere queste illusioni: il trattato di Campoformio, voluto da Napoleone, e in generale la successiva politica dell’Impero francese in Italia, dimostrano a Foscolo che Bonaparte è disposto a sacrificare le aspirazioni italiane per i propri interessi. Questa bruciante disillusione patriottica segna profondamente l’animo del poeta-soldato. La reazione di Foscolo al “tradimento” di Napoleone è veemente: come abbiamo visto, egli lascia Venezia in segno di protesta e non esita a maledire pubblicamente l’uomo che fino a poco prima aveva ammiratoit.wikipedia.org. Nelle sue Ultime lettere di Jacopo Ortis, il romanzo epistolare che iniziò a concepire proprio nel 1797, Foscolo trasferisce su carta tutto il dolore per la “patria tradita”. Già dalla prima lettera del romanzo – datata “Da’ colli Euganei, 11 ottobre 1797”, pochi giorni dopo Campoformio – il protagonista Jacopo grida la propria disperazione con parole rimaste famose: «Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia»it.wikisource.org. Questo sfogo drammatico rispecchia fedelmente i sentimenti di Foscolo in quel frangente storico: la patria (Venezia, l’Italia intera) è stata “immolata” dagli eventi, l’onore e la libertà sono perduti, e all’orizzonte c’è solo un futuro di sofferenza e vergogna. Jacopo Ortis, alter ego letterario di Ugo, esprime anche il dilemma di molti patrioti italiani dell’epoca: restare in patria sotto un governo odiato, o scegliere l’esilio all’estero? Foscolo stesso optò per l’esilio pur di non vivere sotto il dominio austriaco post-napoleonico, mostrando una coerenza tra vita e ideali. Durante gli anni al servizio del Regno Italico napoleonico, comunque, cercò di fare quel che poteva per la causa nazionale: oltre a combattere personalmente, sfruttò la penna per difendere compagni e idee. Ad esempio, quando il generale Pino fu accusato di saccheggi in Romagna, Foscolo intervenne in sua difesa sulla stampa, arrivando a invocare (censurato) la creazione di un esercito nazionale italiano autonomoit.wikipedia.org. Quest’aspirazione rimarrà un sogno fino al Risorgimento, ma testimonia come Foscolo già allora pensasse ad un’Italia padrona del proprio destino. Purtroppo, con il ritorno degli Austriaci nel 1814 e la Restaurazione, ogni slancio liberale fu represso: molti ex giacobini italiani furono arrestati o costretti alla fuga. Foscolo scelse la via dell’esilio “volontario” per non tradire i suoi ideali, allontanandosi dalla patria ma serbandone vivo il culto nel cuore. In Inghilterra, benché fisicamente lontano, continuò a tenersi informato e a partecipare idealmente alle vicende europee: visse i moti del 1820-21 italiani da lontano, e morì poco prima che in patria esplodesse la stagione risorgimentale di cui in fondo era stato precursore morale.

In sintesi, l’impegno politico di Foscolo fu quello tipico del patriota romantico: ardente nella giovinezza, combattivo sulle barricate e sul campo di battaglia, appassionato nello scrivere di libertà; poi via via amareggiato dagli eventi storici contrari, fino a chiudere la vita in esilio, sconfitto ma non piegato. Proprio questa traiettoria di idealismo e disillusione renderà Foscolo, agli occhi delle generazioni successive, un modello di “intellettuale engagé” ante litteram e un martire laico della causa nazionale italiana.

Pensiero illuminista e rivoluzionario nei suoi scritti

Foscolo fu non solo uomo d’azione, ma anche un fine pensatore, profondamente influenzato dalla cultura illuminista. La sua formazione intellettuale avvenne infatti negli ultimi decenni del Settecento, quando in Europa dominavano le idee dei philosophes francesi e degli enciclopedisti. Foscolo assorbì le teorie materialistiche e meccanicistiche dell’Illuminismo, leggendo autori come Hobbes, Diderot, d’Holbach, Helvétius e Condillacit.wikipedia.org. Da queste dottrine trae un approccio razionalista e anticlericale: Foscolo, come molti illuministi, non crede in un aldilà religioso e considera la morte come un ritorno al nulla. Egli stesso può essere definito un ateo razionalista, convinto che dopo la morte dell’uomo resti solo la materia inerte e la dissoluzione nel ciclo eterno della naturait.wikipedia.org. Questa visione, però, gli procura anche profonda angoscia: l’idea del “nulla eterno” (l’oblio totale che avvolge l’uomo dopo la morte) lo tormentait.wikipedia.org. Foscolo vive dunque il pessimismo tipico di fine Settecento, un sentimento acuito dal crollo di molti ideali politici. E tuttavia, pur non trovando conforto nella religione tradizionale, Foscolo non è privo di tensione spirituale. Egli elabora infatti una propria “religione civile” o religione delle illusioniit.wikipedia.org: un sistema di valori laici e ideali ai quali aggrapparsi per dare un senso all’esistenza e vincere la paura del nulla. Quali sono queste “illusioni” salvifiche? Sono quelle realtà immateriali che l’uomo crea e in cui sceglie di credere, pur sapendo che non hanno fondamento ultraterreno ma che ispirano virtù e significato: la patria, l’amore, la gloria, la bellezza, l’arte, l’amicizia, la libertàit.wikipedia.org. Foscolo sostiene che l’uomo, destinato alla morte, può trovare una forma di immortalità attraverso le opere e il ricordo che lascia di sé: in mancanza di un Paradiso celeste, ci si può conquistare un Paradiso della memoria nel cuore dei posteri. Ecco allora che assumono enorme importanza i sepolcri intesi non solo come tombe fisiche, ma come simboli della memoria collettiva. Il sepolcro diventa per Foscolo un luogo fondamentale: è il “legame d’affetto” tra i vivi e i morti, un “simbolo di civiltà” che stimola i posteri all’emulazioneit.wikipedia.org. Nel suo carme Dei Sepolcri egli afferma che le tombe dei grandi uomini accendono l’animo dei forti a compiere egregie cose, rendendo sacra la terra che le ospitaterritoridel900.wordpress.com. Allo stesso modo, altri valori-illusione riscattano l’umana caducità: l’amore può vincere la morte se viene cantato dalla poesia, la bellezza può strappare all’oblio ciò che è destinato a perire, la patria offre ai suoi figli un motivo per compiere azioni nobili degne di essere ricordate.

In Foscolo dunque convivono l’eredità illuminista (scetticismo religioso, materialismo, culto della ragione) e una sensibilità pre-romantica che potremmo definire “neo-classica” e sentimentale al tempo stesso. Da un lato c’è il richiamo ai modelli classici greci e romani, all’armonia e alla compostezza (Foscolo ammirava Parini e Alfieri come modelli di virtù civica e letterariait.wikipedia.org); dall’altro lato, c’è la passionalità romantica, il culto dell’io sofferto e titanico, l’anelito all’infinito e all’eterno. Questa sintesi originale fa di Foscolo un ponte tra Illuminismo e Romanticismo: non a caso fu contemporaneo di Madame de Staël e di Goethe, e precursore di figure romantiche come Byron e Shelleyit.wikipedia.org. Come loro, Foscolo incarna il mito dell’eroe romantico: genio inquieto, ribelle alla tirannia, votato a ideali altissimi ma destinato alla solitudine e al tragico naufragio (si pensi al parallelo tra la biografia di Foscolo e quella dei suoi personaggi, primo fra tutti Jacopo Ortis). Nei suoi scritti, il pensiero illuminista si mescola così con il nuovo fermento romantico: l’esaltazione dei sentimenti, della patria, della natura e dell’arte come assoluti capaci di dare un senso alla vita e un conforto contro la morte. Significativamente, uno dei versi più celebri di Foscolo proclama la vittoria dell’arte sul tempo: «L’armonia vince di mille secoli il silenzio»it.wikipedia.org – ovvero la poesia (l’armonia dei versi) sconfigge l’oblio dei secoli, garantendo una sorta di immortalità terrena a ciò che canta. È una dichiarazione di fede laica nella poesia come forza eternatrice, perfettamente in linea con la sua “religione delle illusioni”.

Foscolo poeta: dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis ai Sepolcri

Accanto all’uomo d’azione e al pensatore, brilla naturalmente il Foscolo poeta e scrittore, autore di opere fondamentali nella letteratura italiana. La produzione foscoliana, pur non vastissima in termini quantitativi, spazia dalla narrativa alla poesia lirica, dalla poesia civile al teatro, ed è attraversata dai grandi temi di cui abbiamo parlato: l’amore, la patria, la morte, la ricerca di senso. In questa sezione analizziamo le sue opere principali, con particolare attenzione a quelle menzionate – Ultime lettere di Jacopo Ortis, Dei Sepolcri e i sonetti – contestualizzandole e citandone alcuni brani significativi.

Ultime lettere di Jacopo Ortis: il romanzo del patriota disilluso

Scritto tra il 1798 e il 1802 (con revisioni successive), Le ultime lettere di Jacopo Ortis è considerato il primo romanzo epistolare della letteratura italiana moderna. L’opera, chiaramente autobiografica in molti aspetti, nasce sull’onda emotiva di Campoformio: dietro il protagonista Jacopo Ortis si intravede Ugo Foscolo stesso, giovane patriota sconvolto dalla fine delle speranze repubblicane. Il romanzo si presenta come una raccolta di lettere che Jacopo invia all’amico Lorenzo, narrando il suo dramma personale e politico. La trama combina vicende sentimentali e vicende storiche: Jacopo, rifugiatosi sui colli Euganei dopo aver abbandonato Venezia occupata, vive una tormentata storia d’amore con Teresa, una fanciulla già promessa sposa ad un altro uomo, e al contempo assiste con dolore agli eventi che travolgono l’Italia. Incapace di cambiare il corso della storia e infelice in amore, Jacopo matura una visione sempre più pessimista e disperata, fino a scegliere il suicidio come atto finale (un chiaro richiamo al Werther di Goethe, altro eroe romantico suicida).

Il valore di Jacopo Ortis risiede nella sua duplice lettura: da un lato è un romanzo politico, un grido di protesta contro la tirannide e il tradimento della patria; dall’altro è un romanzo intimistico, che scandaglia l’animo di un giovane idealista alle prese con la sconfitta e il disinganno. Foscolo vi riversa le proprie convinzioni e i propri sentimenti. Celeberrima è la lettera iniziale dell’11 ottobre 1797 (citata in precedenza), dove Jacopo decreta amaramente la fine della patria: «Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto…»it.wikisource.org. In poche righe viene concentrata tutta la delusione politica: quell’aggettivo “nostra” riferito alla patria tradisce l’intenso senso di appartenenza di Jacopo/Ugo all’Italia, e il termine “sacrificio” suggerisce l’immolazione di un qualcosa di sacro. Più avanti nel romanzo, Jacopo esprime pensieri di fuoco contro gli oppressori e anche contro i connazionali che si rendono complici: «Noi, pur troppo, noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’Italiani», scrive sconvoltoit.wikisource.org. La prosa foscoliana qui è vibrante, ricca di pathos e di immagini potenti: l’Italia è descritta come “terra prostituita, premio sempre della vittoria”, gli invasori come “devastatori de’ popoli” che usano la libertà come pretesto ipocritait.wikisource.org. Jacopo vorrebbe vendicare l’onore perduto, ma si sente impotente di fronte alla forza schiacciante della storia: la sua è una generazione “sepolta viva”, destinata a morire tra le tenebre senza più rivedere la luce della libertàit.wikisource.org.

Sul piano personale, la vicenda d’amore con Teresa aggiunge un ulteriore elemento tragico. Jacopo è costretto a rinunciare all’amata (che obbedisce al volere paterno sposando un altro), e ciò alimenta la sua decisione di farla finita. Nell’ultima lettera, scritta prima di togliersi la vita, Jacopo saluta Teresa e l’amico Lorenzo in toni commoventi, legando il tema amoroso a quello patriottico nel segno del destino avverso. Il suicidio di Jacopo Ortis – gettando il pugnale nel proprio cuore – non è solo il gesto di un amante infelice, ma anche quello di un patriota che non riesce a sopportare la vergogna della servitù: “Mi caccio un coltello nel cuore per versare tutto il mio sangue fra le ultime strida della mia patria”, aveva annunciato Jacopo in un momento di furoreit.wikisource.org. L’Ortis riscosse un forte impatto sui lettori italiani dell’Ottocento, divenendo un’opera di culto per i giovani romantici e patrioti (Mazzini, ad esempio, lo ammirava intensamenteit.wikipedia.org). In Jacopo essi vedevano un modello di amor di patria e insieme di sensibilità moderna, in lotta contro una società ostile ai nobili ideali. Stilisticamente, il romanzo presenta uno stile epistolare intenso e lirico, con punte di oratoria appassionata e slanci sentimentali degni della prosa di Rousseau (non a caso Foscolo stimava La nuova Eloisa rousseauiana) e del Werther goethiano. Con Jacopo Ortis, in definitiva, Foscolo consegna alla letteratura italiana il suo primo eroe romantico: un personaggio lacerato tra azione e sogno, tra dovere politico e sentimento privato, che anticipa tante figure del Risorgimento (i martiri patrioti, gli esuli, gli “orfani della patria”) e incarna l’anima inquieta di un’epoca.

Dei Sepolcri: il carme della memoria e della patria

Se Jacopo Ortis fu il romanzo delle passioni individuali e collettive, Dei Sepolcri è invece il capolavoro poetico e meditativo di Foscolo. Pubblicato nel 1807, questo carme in endecasillabi sciolti (cioè versi senza rima) nacque in circostanze precise: l’emanazione dell’editto di Saint-Cloud da parte di Napoleone (1804), che regolamentava le sepolture vietando i cimiteri entro le mura cittadine e imponendo tombe uguali per tutti. Tale legge – ispirata a criteri igienici e di uguaglianza – suscitò dibattiti culturali in Italia. Foscolo, stimolato anche da un sonetto dell’amico Ippolito Pindemonte sul tema dei cimiteri, decise di scrivere un poemetto per riflettere sul significato dei sepolcri e, più in generale, sul rapporto tra i vivi e i morti, tra memoria e civiltà. Ne uscì un’opera di altissima poesia e profonda filosofia, che è al contempo un testo politico, morale e poetico.

Il carme si apre in forma dubitativa e interrogativa: Foscolo immagina di rivolgersi a Pindemonte e gli chiede se davvero, “all’ombra de’ cipressi e dentro l’urne confortate di pianto”, il sonno della morte sia meno duroilnarratore.com. In altri termini: è importante che i morti abbiano una tomba su cui i vivi possano piangere, oppure, come sostenevano alcuni illuministi estremi, dopo la morte nulla conta più? Questo interrogativo iniziale («All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne… è forse il sonno della morte men duro?»ilnarratore.com) dà l’avvio a un percorso argomentativo e poetico che porta Foscolo a difendere il valore dei sepolcri. Pur consapevole che i morti non sentono più nulla, il poeta afferma che le tombe hanno un’importanza vitale per i vivi: esse alimentano il ricordo e gli affetti, unendo simbolicamente le generazioni. I cimiteri custodiscono i resti di chi abbiamo amato e allo stesso tempo ispirano chi resta a compiere azioni onorevoli. Un verso fondamentale del carme recita: «A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti, o Pindemonte»territoridel900.wordpress.com. Significa che le urne (le tombe) dei “forti” – ossia degli uomini illustri e valorosi – accendono l’animo di altri uomini forti a compiere imprese egregie. Il pellegrino che passa accanto a quelle tombe sente che la terra che le accoglie è resa “bella e santa” dai grandi esempi lì sepoltiterritoridel900.wordpress.com. La poesia dei Sepolcri si fa dunque canto civile: esalta il ruolo della memoria storica e del culto dei caduti per la patria. Non a caso, nella parte finale del carme, Foscolo compone un vero e proprio inno all’Italia attraverso i suoi morti illustri. Egli cita la basilica di Santa Croce a Firenze, definendola custode delle “itale glorie” (vi sono sepolti, tra gli altri, Machiavelli, Galilei, Michelangelo): “Ma più beata [te, Firenze] ché in un tempio accolte serbi l’itale glorie…”it.wikipedia.org. Le tombe di quei grandi italiani (i “forti” del passato) tengono vivo l’amor di patria e l’orgoglio nazionale, nonostante secoli di invasioni e dominazioni straniere. In questo passaggio patriottico dei Sepolcri, scritto nel pieno dell’età napoleonica, Foscolo lancia un messaggio in codice ai suoi contemporanei: l’Italia, benché politicamente oppressa, vive nello spirito dei suoi eroi e poeti, e un giorno potrà risorgere attingendo a quella gloriosa eredità morale.

Da buon materialista, Foscolo riconosce che il corpo muore e null’altro sopravvive; tuttavia, insiste sul fatto che la fama e il ricordo sono una forma di sopravvivenza terrena. Un soldato caduto in battaglia per la libertà, se viene sepolto con onore e ricordato nei secoli, in un certo senso non muore invano: il suo esempio sarà “di conforto e di sprone” per chi verrà dopo. Dei Sepolcri culmina con un’immagine grandiosa che unisce mito pagano e speranza civile: il poeta rievoca la tomba del poeta greco Omero, immaginando che sulla sua urna, vegliata dalla dea Eternità, vengano a ispirarsi i giovani liberatori della patria. La Poesia – simboleggiata da Omero – garantisce la gloria imperitura a chi compie gesta nobili. Ecco quindi un altro verso celebre, con cui Foscolo suggella il messaggio: «Bella e amorosa d’eroi la terra dell’Avello di Achille» (cioè: è bella e produce eroi la terra che custodisce la tomba di Achille, eroe cantato da Omero). La bellezza dell’opera risiede anche nell’altissimo stile poetico: Foscolo adotta un linguaggio solenne, ricco di riferimenti classici, metafore ardite e musicalità grave. L’influenza di Parini e Alfieri si sente nel tono oratorio, ma vi è anche molto di personale: immagini malinconiche di luna e ombre notturne, che tradiscono la sensibilità romantica dell’autore. Basti citare i versi in cui Foscolo descrive la sera cimiteriale con toni foschi e suggestivi: “quando il tuono errò su le tombe / e la folgore dei petti de’ forti // compiuta e l’ultima luce co’ volti / appare in fra gli antri…” (parafrasando: quando sui sepolcri rimbombò il tuono della battaglia e l’ultima luce di gloria brillò sui volti dei prodi, prima di spegnersi nelle tenebre). Questa potente immagine fonde natura e storia, morte e onore in un unicum poetico.

In definitiva, Dei Sepolcri è un testo cardine perché esprime compiutamente la filosofia foscoliana delle “illusioni”: la tomba, la patria, la poesia sono illusioni nel senso che non sconfiggono la morte biologica, ma le danno un significato e la trasfigurano in memoria e gloria. Senza illusioni, l’umanità sprofonderebbe nel nulla; con esse, può “civilizzarsi” e compiere azioni grandi. Non a caso, questo carme ebbe un’enorme influenza sugli intellettuali del Risorgimento, tanto che molti patrioti italiani vi trovarono ispirazione per la loro fede laica nella patria e nei martiri della libertà. Ancora oggi, I Sepolcri resta una delle poesie civili più alte della nostra letteratura, esempio di come un poeta possa farsi “vate” (profeta) della nazione, celebrandone i valori fondanti.

I sonetti: la sera, Zacinto e gli affetti familiari

Oltre al romanzo e al carme, Foscolo ci ha lasciato anche alcune poesie liriche di rara bellezza, in particolare i suoi sonetti. Ne compose una dozzina, pubblicati tra 1802 e 1803, che rappresentano piccoli gioielli espressivi dove il poeta esplora temi intimi e universali. Tra i più noti ricordiamo Alla sera, A Zacinto e In morte del fratello Giovanni, nei quali ritroviamo, in forma condensata, molti motivi cari a Foscolo: la meditazione sul tempo e sulla morte, il nostálgico amore per la terra natale, il dolore dell’esilio, il culto degli affetti familiari e l’anelito all’immortalità attraverso il ricordo.

“Alla sera” (1803) è uno dei sonetti più celebri, aperto da un verso di incantevole musicalità: «Forse perché della fatal quiete tu sei l’immago, a me sì cara vieni, o Sera!»it.wikisource.org. In questi versi iniziali, Foscolo confessa il proprio amore per l’ora del crepuscolo: la sera gli è cara forse perché è immagine (immago) della “fatal quiete”, cioè della morte. Il poeta osserva il calare del giorno, che sia sereno e rosato d’estate oppure tempestoso e nevoso d’inverno, e sente ogni volta che la sera scende su di lui come un’amica invocatait.wikisource.org. Nel silenzio vespertino, egli prova un senso di pace: “e mentre io guardo la tua pace, dorme / quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”it.wikipedia.org. Sono gli ultimi versi del sonetto: contemplando la sera, si placa lo “spirito guerriero” che gli rugge dentro. Questo spirto guerrier è il suo animo inquieto, ribelle, tormentato dagli affanni e dalle passioni (le “torme delle cure” che struggevano il suo tempoit.wikipedia.org); solo la visione pacificatrice della sera riesce temporaneamente a addormentarlo. Il sonetto Alla sera è dunque una profonda meditazione sul tempo che fugge e sul sollievo della morte. Foscolo qui esprime una sorta di attrazione verso la morte, vista non come spaventoso nulla ma come “quiete fatale”, cessazione delle ansie. La struttura del componimento, con il suo andamento calmo e contemplativo, suggerisce proprio l’immagine del giorno che sfuma e del cuore che trova requie. È un testo di stampo classico (per la compostezza formale) ma al contempo pre-romantico nel sentimento malinconico che lo pervade.

“A Zacinto” (nome italiano di Zante), anch’esso del 1803, è un altro sonetto cardine, dedicato alla terra natale di Foscolo. Qui il poeta rivolge un appassionato saluto alla sua isola greca, che non rivedrà mai più. L’incipit è famosissimo: «Né più mai toccherò le sacre sponde / ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia…»it.wikisource.org. Con struggimento, Foscolo riconosce che non potrà tornare a Zacinto (l’esilio glielo impedirà) e ricorda l’infanzia trascorsa su quelle “sacre sponde” bagnate dal mar Greco. Il sonetto intreccia riferimenti mitologici e personali: Zacinto, ci ricorda Foscolo, è l’isola dove nacque Venere dalle onde (“da cui vergine nacque Venere”it.wikisource.org), cantata dai poeti antichi; e l’isola da cui salpò Ulisse per il suo viaggio, destinato però a morire lontano dalla patria. Questa allusione a Ulisse è cruciale: Foscolo si paragona implicitamente a Ulisse. Ulisse riuscì a tornare a Itaca e a baciarne la terra (“bello di fama e di sventura, baciò la sua petrosa Itaca Ulisse”, v. 11-12it.wikisource.org), mentre Foscolo sa che a lui il fato ha riservato “illacrimata sepoltura”it.wikisource.org, ovvero sarà sepolto lontano dalla patria, in terra straniera, senza lacrime di familiari sulla tomba. Il finale del sonetto, difatti, è dolente: “Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepolturait.wikisource.org. Zacinto avrà di Foscolo solo il canto poetico (questo stesso sonetto), perché il fato ha stabilito per lui di non avere un sepolcro pianto dai suoi cari. Sono versi di intensa bellezza e profetici: come abbiamo visto, Foscolo morì davvero lontano e solo dopo molti anni le sue ossa tornarono in patria. A Zacinto unisce quindi il tema dell’esilio (caro ai romantici) con quello classico del nostos (il ritorno in patria): è una sorta di anti-nostos, un ritorno negato. L’identificazione con Ulisse rovesciato (l’eroe greco tornò a casa, l’eroe moderno no) rende ancora più tragica la condizione dell’esule contemporaneo. Ma Foscolo sublima la tragedia personale nell’arte: se non potrà riposare in terra natìa, lascerà però alla sua Zacinto un canto immortale. Di nuovo, l’illusione poetica vince sulla morte.

“In morte del fratello Giovanni” è un terzo sonetto di grande impatto emotivo. Esso fu composto in memoria di Giovanni Foscolo, fratello minore di Ugo, morto suicida a Venezia nel 1801 in giovane età (pare per debiti di gioco e disperazione). In questo testo l’autore intreccia il proprio destino di esule con il dolore familiare. L’attacco è quasi narrativo: «Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, mi vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio…»it.wikisource.org. Foscolo immagina di parlare al fratello defunto: un giorno, se smetterò di fuggire per il mondo (cioè se l’esilio finirà), tu mi vedrai seduto sulla tua tomba, fratello mio, piangendo la tua giovinezza stroncata (“il fior de’ tuoi gentili anni caduto”it.wikisource.org). In queste parole c’è tutta la stanchezza dell’esilio: Foscolo si definisce un fuggiasco errante “di gente in gente”, senza patria. Egli spera, forse illudendosi, che un giorno potrà tornare a Venezia e compiere il dovere di piangere sulla tomba del fratello. Ma subito dopo emerge lo sconforto: la madre, ormai sola, parla di Ugo davanti alle ceneri mute di Giovanni, e il poeta tende invano le palme verso entrambi, lontano da loroit.wikisource.org. I suoi saluti giungono solo da lontano ai tetti domestici; gli pare che gli dei avversi gli neghino perfino la consolazione di condividere il dolore con i suoi cari. L’unico desiderio che gli rimane è espresso negli ultimi, celebri versi: “Straniere genti, l’ossa mie rendete allora al petto della madre mesta”it.wikisource.org. Foscolo prega che le genti straniere rendano le sue ossa al seno della madre addolorata. È un accorato voto postumo: morire in esilio è il suo timore, ma almeno auspica che i suoi resti possano essere riportati in patria, da sua madre. Il fatto toccante è che quando scrive questi versi (1803 circa), la madre Diamantina è ancora viva, mentre quando realmente le ossa di Foscolo torneranno in Italia nel 1871, lei non c’era più da tempo; eppure, simbolicamente, il suo desiderio sarà realizzato con il ritorno in Santa Croce, dove una patria-madre ideale accolse finalmente l’esule. Dal punto di vista stilistico, In morte del fratello Giovanni è un sonetto di straordinaria intensità e compostezza, giocato sui toni sommessi dell’elegia familiare. L’uso dell’apostrofe diretta al fratello, e di immagini concrete (la pietra tombale, le ceneri, le braccia tese), lo rende molto immediato. Ma dietro la vicenda privata si legge ancora una volta il dramma di un’intera generazione di esuli. Quel “sempre fuggendo di gente in gente” è un’immagine potente dell’apolidia e dell’inquietudine dell’intellettuale senza patria.

Oltre a questi, Foscolo scrisse altri sonetti degni di nota: “Alla Musa” (dedicato alla poesia stessa, sua consolatrice), “Che stai?” (ispirato a un’epigrafe sepolcrale romana), “Alla amica Risanata” (per un’amica guarita da malattia), e un famoso sonetto autobiografico in stile alfieriano, “Solcata ho fronte”, in cui traccia un vigoroso autoritratto morale e fisicoit.wikipedia.orgit.wikipedia.org. In Solcata ho fronte (composto nel 1803), si descrive con fronte solcata, capelli fulvi (rossicci), sguardo ardente, indole impetuosa, nemico del mondo ma leale e generoso, ricco di vizi e virtù, devoto alla ragione ma trascinato dal cuore, convinto infine che solo la morte gli darà fama e riposoit.wikipedia.orgit.wikipedia.org. È un autoritratto di stampo classico ma dal contenuto già romantico, che ben rappresenta la complessità del carattere foscoliano.

Attraverso i suoi sonetti, quindi, Foscolo tocca corde intime che lo rendono vicino ai lettori di ogni tempo. La sera quieta che porta oblìo, la nostalgia dell’isola natale idealizzata quasi fosse una madre, il pianto su un fratello perduto e sul proprio destino errabondo: sono immagini e sentimenti universali, che ancora oggi commuovono. La forma chiusa del sonetto (14 versi endecasillabi ben cesellati) in Foscolo si apre a contenere una sostanza emotiva potente, in equilibrio tra razionalità illuminista (c’è spesso un ragionamento, un “forse” iniziale, un voler capire il perché delle cose) e abbandono lirico ai moti del cuore.

L’eredità di Foscolo e il significato della sua figura oggi

Ugo Foscolo rappresenta una figura cardine nella cultura italiana, e la sua eredità è molteplice. Letterariamente, egli è uno degli autori più studiati e amati: i suoi testi – in particolare i sonetti, Jacopo Ortis e Dei Sepolcri – sono letti da generazioni di studenti e appassionati, che vi trovano alcune tra le più alte espressioni della poesia italiana a cavallo tra Classicismo e Romanticismo. Foscolo innovò la nostra letteratura traghettandola nel moderno Ottocento: diede all’Italia il suo primo romanzo sentimentale-politico, contribuì a rinnovare la poesia sepolcrale e civile, e seppe fondere armoniosamente modelli classici e sensibilità romantica, influenzando poi autori come Leopardi e Manzoniit.wikipedia.org. Culturalmente e idealmente, Foscolo rimane un simbolo di patriottismo e impegno. Durante il Risorgimento, come si è detto, venne venerato quasi come un profeta laico dell’unità d’Italia: i giovani mazziniani vedevano in lui un precursore, colui che aveva indicato nell’amor di patria, nella libertà e nel ricordo dei martiri le fondamenta di una “religione civile” italianait.wikipedia.org. Ancora oggi, la figura di Foscolo parla di valori come il coraggio delle proprie idee, la coerenza fino al sacrificio, l’importanza della memoria storica. La sua vita stessa – con la scelta dell’esilio per non tradire i principi – è un potente esempio etico. Foscolo incarna il modello dell’intellettuale patriota, pronto a imbracciare la penna e la spada per il bene comune. In un’epoca come la nostra, in cui spesso ci si interroga sul ruolo degli intellettuali nella società, guardare a Foscolo significa riscoprire un’idea alta della letteratura, che non è fuga dalla realtà ma anzi intervento appassionato nel mondo: i suoi versi nascono dal vivo delle esperienze storiche e mirano a incidere sulle coscienze.

Dal punto di vista più intimo e umano, Foscolo continua a commuovere per la sincerità con cui espresse i sentimenti universali di ogni essere umano di fronte alle grandi domande: la morte, l’amore, la ricerca di senso. La sua “religione delle illusioni” può ancora parlarci, perché in fondo tutti noi abbiamo bisogno di trovare significati e valori con cui riempire la finitezza dell’esistenza. L’illusione foscoliana della poesia e della gloria come antidoti al nulla rimane una delle più belle giustificazioni del fare arte: scrivere, cantare, creare qualcosa che vinca il silenzio dei secoliit.wikipedia.org, come egli stesso auspicava. E in effetti Ugo Foscolo è riuscito a vincere il silenzio del tempo: a quasi duecento anni dalla sua morte, la sua “armonia” poetica risuona ancora. Le sue ossa riposano a Firenze, ma ciò che più conta è che le sue idee e i suoi versi continuano a vivere nel patrimonio culturale italiano. Ogni volta che in una scuola si recita “Né più mai toccherò le sacre sponde…”, ogni volta che si riflette sul significato di avere una tomba su cui portare un fiore a chi abbiamo amato, ogni volta che un italiano si definisce tale pensando a chi lottò per la patria prima di lui – un po’ di Foscolo torna presente tra di noi. Il “figlio della tempesta” (così possiamo chiamarlo pensando alle burrasche storiche che attraversò) ha lasciato un segno indelebile: quello di una voce libera, ardente, in perenne lotta contro l’oblio e la mediocrità. In un periodo di cinismo e disincanto, riscoprire Ugo Foscolo significa anche ritrovare il gusto delle passioni autentiche e dei grandi ideali: un lascito prezioso che questo poeta-soldato rivoluzionario consegna, ancora oggi, alla coscienza della nazione italiana.

Fonti utilizzate: biografia e epistolario di Ugo Foscoloit.wikipedia.orgit.wikipedia.orgit.wikipedia.orgit.wikipedia.org; Ultime lettere di Jacopo Ortisit.wikisource.orgit.wikisource.org; Dei Sepolcriterritoridel900.wordpress.comit.wikipedia.org; sonetti foscolianiit.wikisource.orgit.wikisource.orgit.wikisource.org; approfondimenti storici e critici sulla vita e il pensiero foscolianoskuola.netit.wikipedia.orgit.wikipedia.org.

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