
L’isola Ferdinandea: storia di un’isola che apparve e scomparve nel Mediterraneo
Pubblicato il 17 June 2025
Eruzione dell’isola Ferdinandea, in un dipinto del 1831 di Camillo De Vito. L’isola vulcanica emerse all’improvviso nel Canale di Sicilia, suscitando stupore e dando vita a un’accesa disputa internazionale.
Introduzione
Nel luglio 1831, al largo della costa meridionale della Sicilia, avvenne un fenomeno straordinario: dalle acque del Mediterraneo emerse una nuova isola vulcanica. In breve tempo quel cono di roccia e cenere crebbe fino a circa 65 metridi altezza e 4 km² di superficie , per poi scomparire pochi mesi dopo, inghiottito dalle onde entro l’inizio del 1832 . Questa fugace terra emersa – chiamata Ferdinandea dai siciliani, Graham Island dagli inglesi e île Julia dai francesi – affascinò scienziati, marinai e politici dell’epoca. La sua breve esistenza scatenò infatti l’interesse di varie potenze europee, attirate sia dalla curiosità scientifica sia dall’importanza strategica di un nuovo avamposto nel cuore del Mediterraneo . Per alcuni mesi l’isola divenne oggetto di rivendicazioni territoriali contrastanti e accese discussioni sui giornali, finché la natura pose fine alla contesa facendola inabissare definitivamente .
In questo saggio dal taglio divulgativo ripercorriamo la storia dell’isola Ferdinandea, dalla spettacolare emersione alla scomparsa, esaminando il contesto geologico che ne permise la nascita e il destino, il contesto storico-politico della Sicilia e dell’Europa degli anni 1830, e la disputa internazionale che vide coinvolte quattro nazioni (Regno delle Due Sicilie, Gran Bretagna, Francia e Spagna). Presenteremo documenti e citazioni dell’epoca – da resoconti di ufficiali a lettere e giornali – e vedremo lo stato attuale di ciò che resta dell’isola (oggi un banco sommerso), con i progetti scientifici e le curiosità ad essa legati. Infine, collegheremo la vicenda alla storia siciliana e ad alcuni temi più ampi, come il colonialismo ottocentesco, le dispute marittime e l’identità geopolitica del Mediterraneo.
L’emersione dell’isola: un vulcano nasce dal mare
L’inizio dell’estate 1831 portò segnali inquietanti nel Canale di Sicilia. Verso la fine di giugno, forti scosse sismichefurono avvertite nella Sicilia sud-occidentale (finanche a Palermo), causando danni e allarmando la popolazione . Subito dopo, pescatori e naviganti riferirono di strani fenomeni in mare aperto, tra la costa di Sciacca e l’isola di Pantelleria: l’acqua ribolliva, si alzavano colonne di fumo, pezzi di pietra pomice affioravano e pesci morti galleggiavano in superficie, probabilmente uccisi dai gas vulcanici emessi dal fondo . Il 7 luglio 1831 il capitano Fulco Trifiletti, a bordo del brigantino “Gustavo”, avvistò in quel tratto di mare un piccolo isolotto alto pochi metri, da cui uscivano cenere e lapilli infuocati . Era nata una nuova bocca vulcanica sottomarina, destinata a crescere rapidamente.
Nei giorni seguenti l’attività eruttiva accelerò. Il 12 luglio 1831, dopo un’ennesima scossa tellurica, il vulcano emerse con violenza: detriti e lava fuoriuscirono dalle onde formando un’isola di circa 60 metri d’altezza e 4 chilometri di circonferenza . Testimoni oculari descrissero scene impressionanti. Il capitano Charles Swinburne della Royal Navy, giunto sul posto con la nave HMS Rapid il 18 luglio, riportò in un rapporto al suo ammiraglio: “Osservai una colonna alta e irregolare di fumo bianchissimo levarsi dal mare… In pochi minuti l’intera colonna divenne nera e più grande; quasi immediatamente dopo, diverse eruzioni successive di fuoco livido si alzarono in mezzo al fumo… All’alba vidi un piccolo colle scuro emergere a pochi piedi sopra il livello del mare… Il cratere appariva composto da cenere fine e fango… scaraventando in aria acqua fangosa, vapori e lapilli… Nessuna parola può descrivere la sublime grandiosità di queste eruzioni” . Anche testimoni italiani confermarono la spettacolarità dell’evento: “colonne d’acqua dal mare al cielo, fiamme e fumo… l’acqua ribolliva… i pesci galleggiavano morti”, raccontò un marinaio sbarcato a Sciacca nei giorni successivi .
Nel giro di poche settimane, l’isola neonata raggiunse la sua massima estensione. La superficie era interamente rocciosa, formata da depositi vulcanici (cenere, lapilli, scorie basaltiche) ancora caldi e fumanti . Sulla sommità si apriva un cratere attivo, al cui interno ribollivano acqua e fango bollente misti a vapori sulfurei . Si formarono persino due piccoli laghisulfurei in ebollizione ai margini dell’isola, alimentati dall’acqua intrappolata nei crateri secondari . In pochi giorni, quella che all’inizio era una “testa di vulcano” che emergeva tra le onde diventò un isolotto con due laghetti e un perimetro di circa 4 km . Numerosi curiosi e studiosi iniziarono a visitare la nuova terra: scienziati, geologi e avventurieri giunsero da vari paesi, desiderosi di osservare da vicino questo laboratorio naturale e raccogliere campioni di rocce e minerali freschi . L’isola appariva come un cono troncato scuro, con fianchi friabili di cenere vulcanica, avvolta da vapori e da un acre odore di zolfo. Per la popolazione siciliana fu un evento memorabile, tanto che folle di visitatori partirono da Trapani, Palermo e Napoli per vedere con i propri occhi l’isola fumante, navigando intorno ad essa e perfino sbarcandovi con prudenza .
Va detto che l’area del Canale di Sicilia aveva già mostrato in passato fenomeni simili, seppur di portata minore. Fin dall’antichità classica si era a conoscenza di attività vulcanica sottomarina tra Sicilia e Africa – si narra che durante la prima guerra punica (III secolo a.C.) apparve e scomparve un isolotto in quelle acque . Altre effimere isole vulcaniche furono segnalate nel corso del XVII secolo, ma rimasero sopra il livello del mare solo per brevi periodi . Tuttavia, nessuno era preparato a un evento dell’ampiezza di Ferdinandea nel 1831. L’isola crebbe infatti molto più delle precedenti, raggiungendo – come visto – oltre 60 metri d’altezza e diversi chilometri di perimetro, prima di iniziare il suo declino.
Il contesto geologico: vulcani sottomarini nel Canale di Sicilia
La fugace isola Ferdinandea fu il prodotto di una eruzione vulcanica sottomarina di tipo surtseiano, ovvero generata da un vulcano che erompe in acque poco profonde. L’evento del 1831 avvenne in una zona geologicamente attiva: il Banco di Graham, nel Canale di Sicilia nord-occidentale, parte di un più ampio complesso di vulcani sommersi chiamato Campi Flegrei del Mar di Sicilia. Studi oceanografici recenti hanno rivelato che il banco di Graham (dove sorse Ferdinandea) è uno dei coni accessori del grande vulcano sottomarino Empedocle . Empedocle ha dimensioni imponenti, con una base sul fondo marino paragonabile per ampiezza a quella dell’Etna, e si eleva di circa 500 metri dal fondale . Attorno ad esso si allineano una decina di coni secondari lungo un asse di circa 12 km: tra questi, oltre a Ferdinandea, vi sono i vicini banchi chiamati Terribile e Nerita . La mappa batimetrica della zona mostra questi rilievi subacquei raggruppati nel cosiddetto “Graham Volcanic Field” (campo vulcanico di Graham) .
La composizione dell’isola Ferdinandea era tipica di queste eruzioni freatomagmatiche: principalmente tefrite basaltica, una roccia vulcanica frammentaria ricca di componenti cristallini . Questo materiale, essenzialmente cenere e scorie poco consolidate, risultò però altamente erodibile dall’azione delle onde. Infatti, una volta cessata l’eruzione, l’isola iniziò a sgretolarsi rapidamente sotto l’assalto del mare. Già a fine settembre 1831 i geologi francesi in sopralluogo notarono segni di gravi frane sui fianchi dell’isola, con intere porzioni di terreno che crollavano in mare trascinando detriti . Senza una base solida di lava compatta, ma costituita solo da depositi incoerenti, Ferdinandea era destinata a durare poco . Si stima che l’attività eruttiva principale sia cessata attorno alla metà di agosto 1831 . Da quel momento, non essendoci nuove emissioni di lava a “cementare” l’isola, le onde hanno iniziato a smantellarla progressivamente.
Dal punto di vista geologico, Ferdinandea rappresenta un esempio delle forze tettoniche attive nel Mediterraneo centrale. La sua eruzione fu probabilmente innescata da movimenti distensivi della crosta nel Canale di Sicilia, legati all’interazione tra la placca africana e quella euroasiatica. Non a caso, l’arcipelago vulcanico delle isole Pelagie (Linosa e Pantelleria) sorge non lontano ed è il prodotto della stessa dinamica. Ferdinandea può essere paragonata, per genesi, ad altre isole vulcaniche effimere: ad esempio Surtsey, emersa al largo dell’Islanda nel 1963, o l’isola giapponese Nishinoshima, anch’essa formatasi e scomparsa più volte. Questi fenomeni ci ricordano che la geologia del Mediterraneo è tutt’altro che immobile: il fondo del mare nostrum può ancora dare origine a nuove terre, anche se talvolta solo temporanee.
Sicilia e Mediterraneo nel 1831: contesto storico e politico
Per comprendere la vicenda di Ferdinandea, occorre inquadrarla nell’ambiente storico-politico del 1831, un periodo di fermento sia in Sicilia sia nello scenario internazionale mediterraneo. In quegli anni la Sicilia faceva parte del Regno delle Due Sicilie, sotto la dinastia borbonica. Sul trono sedeva il giovane Ferdinando II di Borbone, salito al potere appena l’anno prima (1830) in un regno restaurato dopo la parentesi napoleonica. I decenni post-napoleonici erano stati turbolenti: nel 1820-21 movimenti liberali a Palermo e Napoli avevano tentato di instaurare costituzioni, venendo poi repressi dall’intervento austriaco. Nel 1831 il governo borbonico era dunque prudente verso qualsiasi elemento di instabilità. Proprio nel luglio 1831 Ferdinando II si trovava in visita ufficiale in Sicilia, e fu colto di sorpresa dalla notizia della comparsa di una nuova isola vicino alle sue coste .
Sul piano europeo, il 1831 vedeva le grandi potenze ridefinire le proprie sfere d’influenza dopo il Congresso di Vienna (1815) e una serie di rivoluzioni: nel 1830 la Francia aveva vissuto la Rivoluzione di Luglio che portò al trono Luigi Filippo d’Orléans in sostituzione dei Borbone; sempre nel 1830 la Francia aveva iniziato la conquista dell’Algeria, proiettando il suo potere nel Mediterraneo meridionale. L’Impero Britannico, dal canto suo, considerava vitale il controllo delle rotte mediterranee verso le colonie asiatiche: già dominava strategici avamposti come Malta (acquisita nel 1814) e le isole Ionie, e manteneva una potente flotta nel Mediterraneo. La Spagna, un tempo padrona di gran parte dell’Italia meridionale, nel 1831 era impegnata in vicende interne (re Ferdinando VII sarebbe morto nel 1833 aprendo la crisi carlista) e nella difficile gestione del declino coloniale, ma guardava ancora con attenzione a ciò che avveniva nel “Mare Nostrum”, specie dove coinvolgeva stati governati da rami della propria casa reale (i Borbone di Napoli erano parenti stretti dei Borbone di Spagna). Il Mediterraneo di inizio Ottocento era dunque uno scenario di rivalità geopolitiche: britannici, francesi, austriaci, spagnoli e altri attori (come l’Impero Ottomano) vi difendevano interessi strategici e commerciali. In questo contesto, l’improvvisa apparizione di Ferdinandea – un possibile nuovo avamposto in mezzo al Canale di Sicilia, tra Europa e Africa – assunse immediatamente un significato che andava oltre la curiosità scientifica: diventò una questione di prestigio nazionale e di controllo territoriale.
Per il Regno delle Due Sicilie l’isola cadeva “in casa propria”, a sole 30 km dalla Sicilia, quindi rientrava naturalmente nella propria sovranità. Ma Gran Bretagna e Francia colsero l’occasione per cercare di piantare bandiera su un punto che avrebbe consentito di sorvegliare i traffici tra il Tirreno e il Canale di Suez (ancora da costruire, ma il Mediterraneo era già la rotta di ingresso per il vicino Oriente). Inoltre, possedere un’isola in quella posizione avrebbe dato un vantaggio militare notevole: come scrisse un commentatore inglese, Graham Island era “un perfetto punto da cui controllare il traffico navale commerciale e militare” nelle maggiori rotte mediterranee . Non sorprende quindi che la nascita di Ferdinandea avvenne in un momento in cui le cancellerie europee erano pronte a far valere pretese territoriali anche su un “scoglio” emerso dal nulla, pur di ampliare la propria sfera di influenza. La corsa all’isola stava per cominciare, intrecciando diplomazia e orgoglio nazionale.
La contesa internazionale: quattro potenze e sette nomi per un’isola
Fin dai primi giorni successivi all’emersione, l’isoletta vulcanica fu oggetto di attenzioni da parte di potenze straniere, desiderose di assicurarsene il possesso. In particolare, Gran Bretagna, Francia e Regno delle Due Sicilie inviarono navi nell’area e tentarono rivendicazioni formali, dando all’isola diversi nomi. Anche la Spagna – sebbene non abbia intrapreso azioni militari dirette – mostrò interesse e partecipò alle dispute diplomatiche, decisa a non restare esclusa dalla partita . Di seguito ricostruiamo la sequenza di queste rivendicazioni e i nomi che l’isola assunse, segno delle differenti prospettive nazionali.
Regno Unito (Gran Bretagna) – I britannici furono tra i primi a monitorare l’eruzione, grazie alla loro squadra navale di stanza a Malta. Dopo le prime osservazioni (il capitano Swinburne sul Rapid il 18 luglio, come visto sopra), il comandante della flotta britannica in Mediterraneo, Viceammiraglio Sir Henry Hotham, distaccò una nave leggera per prendere possesso ufficiale dell’isola. Il 3 agosto 1831 il capitano Humphrey Fleming Senhouse riuscì a sbarcare e piantare la bandiera britannica sul nuovo suolo, proclamandolo possedimento di Sua Maestà . Senhouse battezzò l’isola “Graham Island” in onore di Sir James Graham, Primo Lord dell’Ammiragliato . In realtà, già il 21 luglio un’altra nave britannica (il brigantino Philomel) l’aveva denominata “Isola Hotham” in onore dell’ammiraglio locale , ma il nome Graham, imposto dal più alto in grado, prevalse nelle carte inglesi. L’occupazione britannica avvenne senza consultare il governo napoletano, nonostante l’isola fosse chiaramente prossima alle coste siciliane (circa 15-16 miglia) . Ciò suscitò indignazione nelle Due Sicilie: la stampa locale parlò di “sopruso inglese” e si chiedeva al re di reagire . Per gli inglesi, tuttavia, valeva il principio giuridico secondo cui un’“insula in mari nata” – un’isola sorta dal mare aperto – poteva essere legittimamente rivendicata dalla prima nazione o persona che vi avesse messo piede , considerandola terra nullius. Forte di questa dottrina (di origine romanistica), Londra riteneva valida la presa di possesso effettuata da Senhouse.
Regno delle Due Sicilie – Il governo borbonico di Napoli inizialmente fu colto di sorpresa dagli eventi, ma reagì con fermezza una volta appreso dell’ingerenza straniera. Già a fine luglio 1831, il capitano siciliano Giovanni Corrao (lo stesso che era stato tra i primi osservatori dell’eruzione il 10 luglio ) venne inviato dal re sull’isola a rivendicarla. Ferdinando II equipaggiò la corvetta Etna e la spedì sul posto: Corrao sbarcò, piantò la bandiera borbonica e battezzò formalmente la nuova terra “Isola Ferdinandea” in onore del sovrano, il 17 agosto 1831 . In quell’atto sovrano di annessione, Ferdinando II dichiarava che l’isola faceva parte del regno di Sicilia (facendo riferimento al diritto internazionale vigente, per cui ogni nuova terra emersa nelle acque adiacenti apparteneva alla potenza costiera più vicina) . Dal Palazzo Reale di Caserta, il re fece sapere alle potenze straniere la sua posizione: «L’isola è nostra, stanno violando le nostre acque territoriali!» proclamò, denunciando l’occupazione britannica come illegittima. Venne anche proposta da ambienti siciliani l’idea di chiamare l’isola “Corrao”, per onorare il capitano locale che l’aveva scoperta, ma prevalse il nome Ferdinandea, più consono al protocollo monarchico . A fine ottobre 1831, Napoli inviò note diplomatiche formali a Londra e Parigi notificando l’annessione dell’isola al regno delle Due Sicilie e protestando contro qualsiasi presenza non autorizzata . In sostanza, la corte borbonica rivendicava i diritti sovrani sull’isola appena nata e chiedeva agli altri di desistere. Questo fu probabilmente il primo esempio di “nazionalizzazione” di Ferdinandea nella politica internazionale.
Francia – Anche la Francia aveva i suoi interessi nel Mediterraneo e non intendeva lasciare agli inglesi (né ai Borbone di Napoli, tradizionalmente nella sfera asburgica) il vantaggio di quella nuova base. In settembre 1831 il governo di Luigi Filippo inviò sul posto il brigantino La Flèche, al comando del capitano Jean La Pierre . A bordo vi era una missione scientifica guidata dal geologo Constant Prévost dell’Università di Parigi, accompagnato dal pittore Edmond Joinville . I francesi giunsero sull’isola il 27 settembre 1831 e vi sbarcarono senza chiedere alcun permesso al re di Napoli, analogamente a quanto avevano fatto gli inglesi . Effettuarono rilievi dettagliati per alcuni giorni, raccogliendo campioni e realizzando disegni accurati del fenomeno . Durante questa spedizione, i transalpini ribattezzarono l’isola con il nome poetico di “île Julia” (o Isola Giulia in italiano), in onore del mese di luglio in cui era nata . A ricordo del loro passaggio, posero persino una targa di metallo sulla roccia, con incisi i nomi di Prévost e Joinville e le date 27, 28, 29 septembre 1831 . Sul punto più alto issarono la bandiera francese, prendendo possesso simbolico dell’isola in nome del re di Francia . La relazione redatta da Prévost al rientro (presentata alla Società Geologica di Francia il 7 novembre 1831) notava anch’essa la rapida erosione in corso e ipotizzava correttamente che l’isola potesse collassare su sé stessa in breve tempo . Tuttavia, sul piano politico, l’azione francese voleva rivaleggiare con quella britannica: Parigi ora poteva vantare di aver “battezzato” l’isola e di averci piantato il proprio vessillo, reclamando diritti al pari di Londra e Napoli.
Spagna – Il coinvolgimento della Spagna nella vicenda fu più sfumato ma comunque significativo. Ufficialmente, Madrid non inviò immediatamente navi da guerra a occupare Ferdinandea nell’estate 1831, probabilmente anche a causa della distanza geografica e delle preoccupazioni interne. Tuttavia, la Spagna borbonica considerava la presenza britannica o francese in quella zona come una minaccia potenziale ai propri interessi mediterranei. Ricordiamo che solo pochi decenni prima la Spagna aveva dovuto cedere Minorca agli inglesi e conviveva malvolentieri con la base di Gibilterrabritannica sul proprio territorio. Inoltre, il governo spagnolo aveva legami dinastici con i Borbone di Napoli: Ferdinando II era genero di re Ferdinando VII di Spagna. Fonti dell’epoca riportano che anche la Spagna rivendicò simbolicamentel’isola Ferdinandea: secondo alcuni resoconti, una nave spagnola sarebbe giunta per ultima sull’isolotto, piantandovi la bandiera e attribuendogli il nome di “Nerita” (dal nome di un vicino banco di sabbia) . Nerita divenne così un ulteriore appellativo associato all’isola contesa. In ogni caso, la Spagna fece sapere diplomaticamente di sostenere la rivendicazione delle Due Sicilie e di non tollerare acquisti unilaterali da parte di altre potenze . Di fatto, dunque, quattro nazioni europee guardavano a quel fazzoletto di terra emersa e volevano associarvi la propria sovranità. Non a caso l’isoletta finì per avere sette nomi diversi in pochi mesi – Ferdinandea, Graham, Julia, Hotham, Corrao, Nerita, Sciacca – testimonianza dei molteplici “padri” che la contendevano .
La situazione diplomatica divenne presto tesa. Nel Mediterraneo centrale si sfiorò persino uno scontro armato: a metà settembre 1831, la corvetta borbonica Etna (con Corrao a bordo) si trovò faccia a faccia con una potente fregata inglese (comandata dal capitano Jenhouse, citato dalle fonti inglesi come Senhouse) nelle acque di Ferdinandea . Entrambe le navi rivendicavano l’autorità sul luogo e per alcuni momenti si temette un conflitto a fuoco. “Più di una volta si rischiò un conflitto internazionale”, scrisse un cronista, descrivendo i cannoni puntati mentre ciascuno intimava all’altro di ammainare la bandiera . Fortunatamente, prevalse la prudenza: grazie alla mediazione tra gentiluomini del mare – il capitano Corrao e il capitano Jenhouse si incontrarono sotto bandiera bianca – si concordò di rimettere la questione ai rispettivi governi, evitando lo spargimento di sangue . Nel frattempo, delegazioni diplomatiche e note formali viaggiavano tra Napoli, Londra e Parigi, ognuno cercando appoggi per la propria tesi . La disputa sconfinò ampiamente sui giornali: in Gran Bretagna e Francia la stampa patriottica esaltava la scoperta dell’“isola Graham” o dell’“île Julia”, mentre a Napoli i giornali denunciavano le altrui ingerenze e difendevano i diritti siciliani . Si arrivò persino a fantasiose proposte: ad esempio, alcuni aristocratici napoletani immaginarono di fondarvi un esclusivo stabilimento balneare per l’élite borbonica, trasformando l’isola in resort; di contro i marinai superstiziosi la chiamavano l’“isola che va e viene”, alludendo ai racconti di terre fantasma che emergono e scompaiono per magia .
L’inabissamento: la fine di Ferdinandea
Mentre le cancellerie discutevano, l’isola continuava il suo processo naturale di erosione. Nel giro di poche settimane, i pronostici degli scienziati francesi cominciarono ad avverarsi: l’isola perdeva materiale ad ogni mareggiata. Già ai primi di novembre 1831 le dimensioni si erano ridotte sensibilmente. Passeggeri del vapore Francesco I riferirono che l’isola aveva ormai un perimetro di mezzo miglio e un’altezza minore rispetto all’inizio . Il 7 novembre 1831, il capitano William Walker della nave inglese HMS Alban effettuò un’ulteriore misurazione: la circonferenza era scesa a un quarto di miglio e l’altezza massima a circa 20 metri . Il degrado accelerò col cattivo tempo autunnale. Il 16 novembre si avvistavano soltanto pochi spezzoni di roccia affioranti . Infine, l’8 dicembre 1831, il capitano Allotta del brigantino napoletano Achille constatò che dell’isola non rimaneva più nulla: solo colonne d’acqua calda e gas che si alzavano e ricadevano, segnalando attività sottomarina, e appena sotto la superficie un’ampia distesa di roccia lavica sommersa . L’isola Ferdinandea era ufficialmente scomparsa sotto le onde, dopo circa 5 mesi di esistenza effettiva.
Con il suo inabissamento naturale, si risolse anche la disputa territoriale. Non avendo più un territorio concreto da occupare, le rivendicazioni persero immediatamente forza. “Le trattative vennero quindi concluse: la sovranità sull’isola che non esisteva più poteva essere assegnata al Regno delle Due Sicilie, con soddisfazione di tutti”, scrive con ironia un cronista . In pratica, ciascuna potenza poté ritirarsi senza sconfitta né vittoria: la Gran Bretagna evitò di inimicarsi eccessivamente i Borbone, la Francia poté affermare che comunque l’isola era sparita (dunque casus belli cessato), la Spagna vide scongiurato un insediamento britannico vicino alla Sicilia. Ferdinandea lasciò dietro di sé soltanto un’ombra sulle carte nautiche – il Banco di Graham, segnato come secca pericolosa per la navigazione – e una lista di nomi pittoreschi. Come notò il geologo Charles Lyell nel 1834, commentando la vicenda: “Questo è un caso di moltiplicazione capricciosa di sinonimi che difficilmente trova eguali persino negli annali della zoologia o della botanica” . Effettivamente l’isola ebbe ben sette nomi ufficiali o ufficiosi (Ferdinandea, Graham, Julia, Hotham, Corrao, Nerita, Sciacca) , a testimonianza della gara simbolica svoltasi attorno ad essa.
Alcune riapparizioni effimere dell’isola furono segnalate negli anni successivi. Fonti locali raccontano che nel 1846 e nel 1863 vi fu un’intensa attività sottomarina nel banco di Graham, sufficiente a far riaffiorare per pochi giorni uno scoglio fumante . In particolare, l’episodio del 1863 fece scalpore sulla stampa internazionale: The Times di Londra titolò enfaticamente “A British island emerges from the Mediterranean” (un’isola britannica emerge dal Mediterraneo) , segno che i britannici consideravano ancora “loro” quel lembo di terra. Tuttavia, queste ricomparse furono di brevissima durata, e il mare richiuse presto il sipario. Nel gennaio 1864 una rivista scientifica francese poté sentenziare: “L’île Julia est rentrée dans les flots” (l’isola Giulia è rientrata nei flutti), dichiarando definitivamente conclusa la vicenda. Di Ferdinandea rimasero visibili solo alcuni scogli affioranti a fior d’acqua, residui delle bocche eruttive, che costituivano un pericolo per le navi di passaggio non segnalate sulle mappe. Con il tempo anche questi scogli vennero erosi sotto la superficie. L’episodio però rimase vivo nella memoria collettiva siciliana ed europea, alimentando per decenni racconti di “isole fantasma” e speculazioni sul possibile ritorno di Ferdinandea dal fondo del mare.
L’eredità di Ferdinandea: l’isola sommersa oggi, tra scienza e memoria
Oggi Ferdinandea non esiste più come isola emersa, ma la sua storia non è finita. Ciò che rimane è un vulcano sommerso, denominato Secca (o Banco) di Ferdinandea o Graham Bank, la cui cima si trova a pochi metri sotto il livello del mare (circa 6–8 metri di profondità) . Questo basso fondale è ancora attivo dal punto di vista geotermico: occasionalmente vengono osservate emissioni di gas e acque calde che increspano la superficie marina, segnalando che il vulcano non è del tutto spento . Il banco sommerso ha un’estensione di circa 30 metri quadrati nella parte sommitale e poi degrada rapidamente; costituisce, di fatto, il relitto geologico dell’isola del 1831 .
Dal punto di vista scientifico, Ferdinandea ha continuato ad attirare attenzione. Geologi e vulcanologi hanno effettuato numerose spedizioni subacquee per studiare il vulcano e la geologia locale. Ad esempio, nel 1986 una missione dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) installò sensori sul banco per rilevare attività sismica. Proprio in quell’anno si verificò un curioso incidente: durante le tensioni tra USA e Libia, un pilota americano scambiò il segnale radar del banco roccioso per un sottomarino libico in agguato e lo colpì con un ordigno, senza ovviamente danneggiare il vulcano ma creando un piccolo cratere sull’affioramento . L’episodio spinse le autorità italiane a evidenziare meglio la secca sulle carte navali per evitare pericoli simili. Nel 1999-2000 il noto oceanografo Robert Ballard (scopritore del relitto del Titanic) effettuò immersioni nell’area, suscitando l’interesse internazionale per il vulcano siciliano . Nel 2006una spedizione congiunta della Lega Navale di Sciacca e della Protezione Civile Siciliana, coordinata dall’INGV di Catania, mappò dettagliatamente il banco Ferdinandea e i coni vicini, scoprendo anche altri sei vulcani sottomarinifinora ignoti nelle vicinanze . Tali ricerche hanno arricchito la comprensione del Campo vulcanico di Graham e dei rischi vulcanici nel Canale di Sicilia.
Dal punto di vista giuridico e geopolitico, la vicenda di Ferdinandea offre interessanti spunti. Nell’Ottocento vigeva ancora la concezione che territori nuovi potessero essere annessi col principio del “chi prima arriva, pianta la bandiera”, come accadde nel 1831 . Oggi il diritto internazionale del mare si è evoluto: esiste il concetto di piattaforma continentale, per cui un paese costiero ha diritti sovrani anche sul fondale naturale protruso dalle proprie coste . Ciò significa che se Ferdinandea riemergesse ai giorni nostri, apparterrebbe automaticamente all’Italia, in quanto parte del prolungamento geologico della Sicilia, senza bisogno di nuove proclamazioni . Nonostante questo, agli inizi degli anni 2000 si è assistito a un rinnovato interesse e ad alcune azioni preventive. Nell’ottobre 2002 uno sciame sismico e l’eruzione contemporanea dell’Etna fecero sospettare un possibile risveglio del vulcano di Ferdinandea . I vulcanologi notarono che la sommità del banco si era alzata fino a soli 5 metri sotto il livello del mare, segno di una potenziale nuova eruzione imminente . Per evitare qualsiasi “sorpresa” diplomatica, il governo italiano e la Regione Siciliana decisero di agire simbolicamente: venne organizzata una squadra di sommozzatori siciliani che posò sul fondo, esattamente sopra la cima del vulcano, una targa di pietra con incisa una rivendicazione patriottica . Su di essa si legge (in italiano e in latino): «Questo lembo di terra, un tempo isola Ferdinandea, era e sarà sempre del popolo siciliano.» . Poco dopo, dei sub militari issarono anche un tricolore italiano fissato su un supporto metallico sul punto più alto della secca . Era un modo per dire al mondo che, qualora l’isola fosse riemersa, non ci sarebbero stati dubbi sulla sovranità. In realtà, l’eruzione del 2002 non avvenne e Ferdinandea rimase sott’acqua, ma quelle iniziative ebbero un impatto mediatico notevole. La targa subacquea divenne essa stessa un pezzo di storia: inizialmente distrutta (forse dall’ancora di un peschereccio), fu poi sostituita da una nuova, e oggi i subacquei che visitano il banco possono ancora vederla, incrostata di alghe, a testimoniare l’orgoglio siciliano .
A proposito di turismo subacqueo, la secca di Ferdinandea è diventata una meta ambita per i divers e gli appassionati di geologia marina. Le acque poco profonde, limpide e ricche di vita (grazie al calore geotermico e ai gas vulcanici che favoriscono particolari ecosistemi) offrono immersioni suggestive. Si possono osservare fumarole sottomarine, rocce vulcaniche bizzarre e una flora marina rigogliosa che ha colonizzato il banco . Le autorità locali di Sciacca hanno più volte proposto di valorizzare il sito come attrazione naturalistica, magari istituendo un’area marina protetta intorno ad esso. L’interesse culturale è altrettanto vivo: musei e mostre in Sicilia espongono campioni di rocce raccolti dall’isola nel 1831 (alcuni furono conservati dall’Università di Catania e da collezionisti europei) , nonché dipinti, stampe d’epoca e documenti originali che narrano la vicenda. Ferdinandea è entrata anche nell’immaginario letterario: scrittori e poeti l’hanno citata come metafora di cose che appaiono e svaniscono. Ad esempio, lo storico locale Salvatore Mazzarella le ha dedicato un libro (“Dell’isola Ferdinandea e di altre cose”, 1984) in cui l’isola diventa simbolo delle illusioni e disillusioni nella storia siciliana.
Dal punto di vista della geopolitica mediterranea, la storia di Ferdinandea è emblematica. In pieno periodo colonialistae imperialista (l’Ottocento), anche un piccolo scoglio poteva scatenare forti appetiti tra le potenze, se situato in posizione strategica. La “guerra delle bandiere” del 1831 intorno a Ferdinandea anticipa in piccolo quelle dinamiche di competizione per i territori che caratterizzarono il secolo successivo – basti pensare alla corsa all’Africa di fine ‘800, o alle attuali dispute per isolette nel Pacifico o nell’Artico. Ferdinandea inoltre getta luce sull’importanza del Mediterraneo come spazio conteso: all’epoca fu contesa da ben quattro nazioni, segno che il controllo del centro del Mediterraneo era considerato cruciale per il potere europeo. Per la Sicilia, in particolare, la vicenda fu motivo di orgoglio locale (il re Borbone difese l’isola come parte integrante della nazione siciliana) e ancora oggi viene ricordata come una curiosità storica identitaria. Emblematico è il testo della targa del 2002: “era e sarà sempre del popolo siciliano” – un’affermazione che mescola giustamente legalità moderna e un pizzico di passione campanilistica.
In conclusione, l’isola Ferdinandea – o quel che ne resta – giace oggi tranquilla sotto le acque turchesi del Canale di Sicilia, a qualche metro dalla superficie, come un piccolo altopiano sommerso. Da quasi due secoli ogni tanto i suoi ribollimenti fanno sobbalzare l’immaginazione di qualcuno, ma finora non è più tornata a vedere la luce del sole. Chissà se in futuro una nuova eruzione la riporterà in superficie: la scienza non può escluderlo. Se accadesse, sarebbe interessante vedere come verrebbe gestito l’evento nel mondo contemporaneo. Verosimilmente non assisteremmo a cannoniere pronte a sparare come nel 1831; i confini e i diritti oggi sono più chiari. Eppure, in un Mediterraneo sempre attraversato da tensioni, un’isola che riemerge potrebbe ancora generare dibattiti diplomatici – magari non per annetterla, ma per rivendicarne l’uso scientifico o la tutela ambientale. In ogni caso, Ferdinandea resta un affascinante capitolo della storia geologica e politica del Mediterraneo: l’isola che visse un’estate, fece litigare re e ammiragli, e poi sparì portando con sé un pezzo di Ottocento sotto il mare. Una vicenda che unisce scienza, storia e leggenda, ricordandoci come la Terra sia in continuo mutamento e come, talvolta, la geologia possa influenzare la geopolitica in modi davvero sorprendenti.
Fonti:
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Carlo Gemmellaro, Relazione dei fenomeni del nuovo vulcano sorto dal mare fra la costa di Sicilia e l’isola di Pantelleria nel mese di luglio 1831, Univ. di Catania, 1831 (rapporto scientifico coevo).
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Constant Prévost, Lettre sur l’exploration de l’île Julia, in Bulletin de la Société Géologique de France, II serie, 1831 (resoconto della spedizione francese del settembre 1831).
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Royal Geographical Society (London), Account of the volcanic island lately thrown up between Sicily and Pantellaria, J. R. Geog. Soc. London, vol.1, 1832 (rapporti di ufficiali britannici) .
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Jean-François Gerkens, Insula quae in mari nascitur occupantis fit… Le cas de Ferdinandea vu par un romaniste, in Fides Humanitas Ius – Studi in onore di L. Labruna, vol. IV, Napoli 2007 (analisi storico-giuridica del caso Ferdinandea).
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Tullio Scovazzi, Un’effimera isola e un ipotetico quesito, in Rivista di diritto internazionale, 85(4), 2002 (discussione sui profili di diritto internazionale).
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Wikipedia (it) – Isola Ferdinandea: storia, geologia e citazioni .
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Independent (UK) – Rose George, The Island that Time Remembered, 26/9/2001 (articolo divulgativo) .
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Yachting News – Sibilla Gambino, Ferdinandea Island: a European conflict averted, 19/4/2022 .
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Cadena SER (es) – S.E., La isla italiana que emergió de la nada en 1831…, 5/6/2025 .
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INGV – Ferdinandea Island (scheda scientifica) .
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Geolsoc Blog – The Three Month Isle (Geological Society, 2016) .
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Salvatore Mazzarella, Dell’isola Ferdinandea e di altre cose, Sellerio, 1984 (monografia storica).
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Filippo D’Arpa, L’isola che se ne andò, Mursia, 2001 (saggio storico-divulgativo).
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Santino Mirabella, L’Isola Passeggera, Vertigo, 2015 (racconto storico).
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