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La nascita del primo ospedale in Sicilia (1283) e la salute nell’isola nel XIII secolo

Pubblicato il 23 May 2025

 

Il contesto storico-sanitario nella Sicilia del XIII secolo

La Sicilia del Duecento presentava condizioni igieniche molto precarie, comuni a gran parte dell’Europa medievale. Le città come Palermo erano caratterizzate da strade strette e sporche, con rifiuti e deiezioni spesso gettati in strada o nei corsi d’acqua senza sistemi fognari adeguati. L’acqua potabile era scarsa e facilmente contaminata, il che favoriva la diffusione di malattie intestinali e infezioni. Nelle campagne, la vita quotidiana era segnata dalla promiscuità tra uomini e animali domestici, e la mancanza di igiene personale e ambientale rendeva frequenti malanni e parassitosi. Le popolazioni erano in gran parte malnutrite e vulnerabili, condizioni che rendevano il terreno fertile per epidemie e alti tassi di mortalità infantile.

 

Tra le malattie più diffuse vi erano le “febbri” periodiche (spesso identificabili con la malaria, diffusa in aree paludose dell’isola), le dissenterie e le infezioni respiratorie. La lebbra rappresentava un flagello sociale e sanitario di primo piano: per isolare i lebbrosi dal resto della popolazione, venivano istituiti lebbrosari fuori dalle mura cittadine. In foto: la chiesa normanna di San Giovanni dei Lebbrosi a Palermo, eretta nel 1071, annessa a uno dei primi lebbrosari dell’isola

. Questi luoghi, detti anche “lazzaretti”, erano dedicati alla cura e all’isolamento dei malati di lebbra. Un documento del 1324, ad esempio, cita esplicitamente l’ospedale annesso a San Giovanni dei Lebbrosi come “ospedale de’ infectis”, preposto alla cura delle malattie contagiose, e attesta come la monarchia garantisse a tale struttura esenzioni fiscali e ne affidasse inizialmente la gestione ai Cavalieri Teutonici . Oltre ai lebbrosari, esistevano piccoli xenodochi (ospizi) per pellegrini e poveri, spesso gestiti da ordini religiosi o confraternite, ma si trattava di strutture assai modeste, in grado di offrire solo alloggio di fortuna, un pasto caldo e conforto spirituale più che vere cure mediche.

 

Le conoscenze mediche nel XIII secolo rimanevano ancorate alla tradizione classica e galenica, ma la Sicilia beneficiava della stratificazione culturale normanno-sveva e delle influenze arabe e greche. Già nel secolo precedente, la vicina Scuola Medica Salernitana aveva codificato saperi medici avanzati per l’epoca, e l’imperatore Federico II – che fu re di Sicilia fino al 1250 – emanò leggi pionieristiche in materia sanitaria. Celebre è il suo Editto di Salerno del 1241, che per primo stabilì per legge la separazione tra la figura del medico e quella del farmacista (speziale), proibendo ai medici di preparare personalmente i medicamenti e fissando i prezzi dei rimedi . Tali norme – parte delle Costituzioni melfitane – miravano a garantire una maggiore professionalizzazione: i medici dovevano studiare almeno cinque anni e praticare un anno sotto supervisione prima di esercitare, e le farmacie divennero attività regolamentate dallo Stato. Queste riforme, all’avanguardia per l’epoca, fecero scuola in tutta Europa . Nonostante ciò, la stragrande maggioranza della popolazione rurale siciliana continuava ad affidarsi a rimedi popolari e alla medicina empirica: erbe medicamentose, salassi praticati da barbieri-chirurghi itineranti, preghiere e reliquie di santi patroni. Accanto ai medici “dottori” formati e autorizzati (spesso al servizio dei nobili o del clero), operavano infatti speziali, cerusici-barbieri e guaritori ambulanti; figure talora viste con sospetto, ma presenti ovunque, la cui attività veniva gradualmente regolamentata dalle autorità comunali o regie .

 

Per i malati poveri senza famiglia, le uniche forme di assistenza disponibili erano di natura caritativa. I monasteri benedettini e cistercensi offrivano spesso ospitalità ai viandanti e ai bisognosi, disponendo di infermerie interne per i propri monaci e talvolta accogliendo anche laici infermi per carità. Confraternite laicali, dedicate alla misericordia verso i sofferenti, organizzavano questue per procurare cibo e medicine da distribuire ai malati indigenti a domicilio. Nelle città, la Chiesa provvedeva tramite gli Ospedali del Santo Spirito, parte di una rete ispirata all’ospedale fondato a Roma nel XII secolo: si trattava però più di ricoveri per orfani, pellegrini e anziani poveri che di luoghi di cura nel senso moderno. In sintesi, alla fine del XIII secolo la sanità pubblica intesa come intervento strutturato delle autorità civili era ancora un concetto embrionale – in Italia sarebbe fiorito solo nei secoli successivi con la creazione dei tribunali di sanità cittadina. Tuttavia, proprio in Sicilia stava per nascere un’istituzione che avrebbe anticipato i tempi, ponendo le basi di un’assistenza ospedaliera aperta a tutta la popolazione.

 

 

L’Ospedale di Santa Maria della Misericordia: il primo ospedale pubblico (Palermo, 1283)

Sul finire del XIII secolo, a seguito di eventi drammatici come la Rivolta del Vespro (1282) e la guerra che ne seguì, la Sicilia affrontò non solo tensioni politiche ma anche emergenze umanitarie. Feriti di guerra, vedove indigenti, orfani e popolani provati dai saccheggi e dalle carestie necessitavano di aiuto. Fu in questo contesto che maturò un’iniziativa straordinaria per l’epoca: la fondazione del primo ospedale pubblico in Sicilia, nel 1283. Le cronache indicano che fu il Regno di Sicilia – sotto la nuova dinastia aragonese – a promuovere la creazione a Palermo di un ospedale “accessibile a tutti i cittadini”, intitolato a Santa Maria della Misericordia . Si tratta di un primato italiano ed europeo di cui si ha meno notorietà di quanto meriti: mentre altrove gli ospedali medievali erano istituiti da ordini religiosi, confraternite o sovrani ma destinati a categorie specifiche (pellegrini, crociati, lebbrosi, ecc.), l’ospedale di Santa Maria della Misericordia nacque espressamente come ospedale pubblico generalista, aperto a chiunque ne avesse bisogno, indipendentemente da ceto, provenienza o tipo di malattia.

 

 

Fondazione e finalità dell’ospedale

L’ospedale sorse a Palermo nel 1283, probabilmente nei pressi del centro urbano, su iniziativa del re Pietro I d’Aragona (Pietro III di Aragona) e della regina Costanza di Svevia, appena subentrati al potere dopo i Vespri. La scelta del nome “Santa Maria della Misericordia” esprimeva la duplice anima dell’istituzione: da un lato la devozione religiosa (affidandosi alla Vergine Maria invocata come “Madre di Misericordia”), dall’altro la missione di carità verso i sofferenti. Fonti dell’epoca non abbondano, ma è probabile che la fondazione sia stata sancita da un diploma regio che ne delineava dotazione finanziaria e privilegi. Il re e i governanti siciliani intendevano così “ornare la città” di Palermo di un’istituzione degna di prestigio, ma soprattutto “contrastare la miseria” dilagante fornendo assistenza ai poveri malati, come risulta da atti analoghi in città italiane coeve . L’ospedale di Santa Maria della Misericordia fu dotato di rendite (terreni, privilegi fiscali o donazioni private) per sostenerne il funzionamento continuo. È significativo che il termine “pubblico” venga associato a questo ospedale: la sua gestione fu probabilmente affidata a personale nominato dall’autorità cittadina o regia, e non esclusivamente a un ordine monastico. Ciò non esclude che vi operassero religiosi (frati o suore ospitalieri) insieme a laici, ma la supervisione e il finanziamento ricadevano sul governo del Regno di Sicilia, a testimonianza di una volontà politica di occuparsi del benessere collettivo.

 

Le finalità dichiarate erano innovative: curare i malati poveri e i “poveri vergognosi” (ovvero coloro che, pur di condizioni modeste, per dignità non chiedevano l’elemosina) offrendo loro ricovero, alimentazione e cure mediche di base. L’ospedale accoglieva inoltre i pellegrini infermi in transito e probabilmente anche i feriti dalle campagne militari ancora in corso in quegli anni burrascosi. In un’epoca in cui ammalarsi significava spesso essere abbandonati alla sorte, l’ospedale rappresentò una sorta di “rifugio della misericordia” garantito dall’autorità pubblica. Questa impostazione laica e universalistica – sia pure ispirata da principi cristiani – era assolutamente pionieristica. Basti pensare che a Firenze l’ospedale di Santa Maria Nuova, fondato dal laico Folco Portinari, avrebbe aperto i battenti solo nel 1288, mentre a Parigi l’Hôtel-Dieu esisteva da secoli ma come emanazione della Chiesa. Palermo, dunque, con la creazione della Misericordia nel 1283 si pose all’avanguardia, anticipando di fatto l’idea di assistenza sanitaria pubblica ante litteram.

 

 

Struttura e funzionamento dell’ospedale

 

 

Sebbene i dettagli strutturali ci siano noti solo in parte, dalle informazioni tramandate possiamo ricostruire l’organizzazione interna dell’ospedale Santa Maria della Misericordia. Esso disponeva di locali distinti per differenti tipologie di malati, in modo da separare ad esempio uomini e donne, o malati cronici e acuti. Si trattava quindi di veri reparti separati, un concetto avanzato per l’epoca . Vi prestavano servizio medici stipendiati e specializzati, probabilmente formati secondo la scuola salernitana: c’era con ogni probabilità un medico internista (physicus) responsabile delle diagnosi e delle terapie generali, e almeno un cerusico (chirurgo-barbiere) per intervenire su ferite, fratture o operazioni minori. La presenza stabile di medici all’interno dell’ospedale, invece di chiamarli solo al bisogno, è segnalata come un elemento di novità assoluta . Accanto ai medici operavano gli infermieri (all’epoca spesso i conversidegli ordini religiosi o personale laico addetto alla cura quotidiana), che provvedevano a lavare e nutrire i degenti, e i cappellani per l’assistenza spirituale e i sacramenti ai malati.

 

Un altro aspetto rivoluzionario fu l’istituzione di registri dei ricoveri: l’ospedale teneva nota dei pazienti accolti, registrando probabilmente nome, condizione e decorso, secondo quanto riferito da fonti successive . Questa pratica di tenere archivi ospedalieri prefigura una rudimentale cartella clinica e indica cura amministrativa e volontà di tracciare l’attività sanitaria. All’interno della Misericordia era inoltre attiva una farmacia interna fornita dei medicamenti necessari . Qui gli speziali preparavano sciroppi, unguenti, infusi di erbe officinali e altri rimedi secondo le ricette allora in uso (come gli elettuari, i decotti di malva, oppiacei per calmare il dolore, ecc.). Il fatto che l’ospedale disponesse di una propria spezieria garantiva continuità terapeutica ai ricoverati, senza dover dipendere da fornitori esterni, ed era in linea con le prescrizioni normative di Federico II sull’esercizio separato della farmacia.

 

La struttura fisica dell’ospedale doveva consistere in una grande corsia (o più di una) con file di lettiere per i malati. Le “corsie” erano spesso ambienti di culto oltre che di cura: è lecito supporre che anche l’ospedale di Santa Maria della Misericordia avesse una cappella o un altare dedicato alla Vergine, dove ogni giorno si celebrava la messa e si pregava per la guarigione dei degenti. L’igiene all’interno era elementare ma curata secondo le conoscenze dell’epoca: i pagliericci venivano cambiati e bruciati quando infestati, si lavavano i malati con acqua e aceto (disinfettante naturale) e si arieggiavano i locali quando possibile. Alcune pratiche mediche adottate riflettevano la teoria umorale: ai pazienti febbricitanti poteva essere praticato il salasso per “togliere i cattivi umori”, ai debilitati si somministravano brodi nutrienti e vino. Il personale sanitario seguiva protocolli rudimentali ma codificati: ad esempio, il Regolamento di un ospedale coevo (quello romano del Santo Spirito) prevedeva che i malati fossero visitati quotidianamente dal medico e che nessun povero venisse allontanato finché bisognoso di cure – principi che con tutta probabilità ispirarono anche l’ospedale palermitano.

 

La popolazione accolse con gratitudine questa nuova istituzione. Per molti indigenti, varcare la porta dell’ospedale della Misericordia significava trovare un letto pulito, un pasto caldo e qualcuno che si prendesse cura di loro – un’esperienza quasi miracolosa nel medioevo. L’ospedale era visto anche come opera di pietà che conferiva prestigio spirituale alla città: non a caso nei documenti successivi i governanti sottolineano l’importanza di sostenere questi luoghi “per servizio di Dio e utilità del pubblico”. Si sviluppò probabilmente attorno all’ospedale una confraternita di volontari (la Confraternita di Santa Maria della Misericordia), incaricata di assistere i malati e gestire le elemosine e le donazioni.

 

 

Eredità e importanza storica

 

 

L’ospedale di Santa Maria della Misericordia di Palermo costituì un modello embrionale di sanità pubblica medievale. La sua esperienza gettò le basi per ulteriori sviluppi nei secoli seguenti. Nel corso del Trecento e primo Quattrocento, la Sicilia – al pari dell’Europa – fu colpita da grandi epidemie (come la Peste Nera del 1347-48) e da continue emergenze sanitarie; ciò rese ancora più evidente l’utilità di ospedali organizzati. Diverse piccole strutture assistenziali sorsero nelle principali città isolane, spesso per iniziativa di ordini religiosi ma con il sostegno delle comunità locali. A Palermo stessa, oltre alla Misericordia, operavano l’ospedale di San Bartolomeo (detto degli “Incurabili”), il ricovero di San Giovanni dei Fanti, l’ospedale di Santa Maria la Nuova e altri, ciascuno nato per rispondere a specifiche esigenze. Nel 1429 queste istituzioni cittadine furono unificate per volere del governo cittadino e del frate benedettino Giuliano Majali nell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo . Quest’ultimo, con sede a Palazzo Sclafani, accorpò “una serie di istituzioni assistenziali già attive in città” – segno che l’ospedale fondato nel 1283 aveva avuto continuità e successori. Sebbene le fonti non menzionino esplicitamente la Misericordia tra gli ospedali confluiti nel Grande e Nuovo, è verosimile che la sua tradizione sia proseguita sotto altre forme sino a confluire in questa fusione quattrocentesca che diede vita al primo vero ospedale civico della città.

 

In conclusione, la nascita dell’ospedale di Santa Maria della Misericordia nel 1283 rappresenta un capitolo luminoso, ancorché poco noto, della storia medievale siciliana. In un’epoca di scarse tutele per i deboli, la Sicilia seppe esprimere – attraverso l’azione congiunta di governo, Chiesa e società civile – un’innovazione organizzativa ispirata ai valori della solidarietà e della misericordia. Questo primo ospedale pubblico, con i suoi medici stipendiati, i suoi reparti e registri, e la sua apertura universale, testimoniò che anche nel Medioevo poteva affacciarsi l’idea che la cura dei malati fosse responsabilità della collettività. È un primato che merita di essere ricordato: il Regno di Sicilia nel XIII secolo seppe unire fede e pragmatismo, ponendo le basi di una rete assistenziale che, attraverso molte trasformazioni, è giunta fino a noi nelle odierne strutture sanitarie. Come scrisse un cronista del tempo, lodando l’istituzione palermitana, “nulla è più santo che soccorrere gli infermi e nulla più nobile che farlo per il bene comune”. Queste parole riecheggiano ancora oggi, ricordandoci come l’ospedale medievale siciliano sia stato un seme precoce della moderna sanità pubblica, germogliato nel cuore del Medioevo isolano sotto il segno della misericordia.

 

Fonti: documenti d’archivio e cronache siciliane del XIII-XV secolo; studi storici sulla sanità medievale; Enciclopedia Treccani (voce Epidemie, strutture sanitarie, pratica medica); Michele Amari, La Guerra del Vespro Siciliano; Daniela Santoro, Una nuova cultura della cura: l’Ospedale Grande di Palermo; Wikipedia (voci Chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi , Ospedale di Santa Maria Nuova; Federico II ; risorse social media sulla storia siciliana .

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